L’episodio biblico della lotta di Davide contro Golia è molto noto, tanto da comparire anche nel linguaggio corrente, quando si voglia indicare una impresa impari per le forze in campo. Di recente la liturgia ambrosiana ne ha proposto la lettura, che appare ancora più incisiva nella sua proclamazione ad alta voce. L’impressione che se ne ricava è quella di ascoltare un racconto epico, ricco di stilemi propri di questo genere letterario che Omero ha reso glorioso, facendone uno degli archetipi a cui ha attinto la cultura occidentale.



Innanzitutto l’indicazione precisa del luogo della battaglia e degli schieramenti in campo. “I Filistei radunarono di nuovo l’esercito per la guerra e si ammassarono a Soco di Giuda e si accamparono tra Soco e Azeka, a Efes-Dammin. Anche Saul e gli Israeliti si radunarono e si accamparono nella valle del Terebinto e si schierarono a battaglia di fronte ai Filistei. I Filistei stavano sul monte da una parte e Israele sul monte dall’altra parte e in mezzo c’era la valle”. L’andamento ripetitivo è appunto una delle caratteristiche del genere epico, all’inizio trasmesso oralmente e per questo bisognoso di accorgimenti adatti alla memorizzazione.



Poi la presentazione, volutamente enfatizzata, del guerriero filisteo: “Dall’accampamento dei Filistei uscì un campione, chiamato Golia, di Gat; era alto sei cubiti e un palmo. Aveva in testa un elmo di bronzo ed era rivestito di una corazza a piastre, il cui peso era di cinquemila sicli di bronzo. Portava alle gambe schinieri di bronzo e un giavellotto di bronzo tra le spalle. L’asta della sua lancia era come un subbio di tessitori e la lama dell’asta pesava seicento sicli di ferro; davanti a lui avanzava il suo scudiero”.

Ed ecco la sfida: “Egli si fermò davanti alle schiere di Israele e gridò loro: ‘Perché siete usciti e vi siete schierati a battaglia? Non sono io Filisteo e voi servi di Saul? Scegliete un uomo tra di voi che scenda contro di me. Se sarà capace di combattere con me e mi abbatterà, noi saremo vostri schiavi. Se invece prevarrò io su di lui e lo abbatterò, sarete voi nostri schiavi e sarete soggetti a noi’. Il Filisteo aggiungeva: ‘Io ho lanciato oggi una sfida alle schiere di Israele. Datemi un uomo e combatteremo insieme'”.



Quando una guerra dura a lungo con esiti incerti, si ricorre, come in Omero, allo scontro individuale. Ma la proposta di Golia getta lo sgomento nelle file nemiche: “Saul e tutto Israele udirono le parole del Filisteo; ne rimasero colpiti ed ebbero grande paura”. Dove trovare un uomo che gli stesse alla pari? Per quaranta giorni Golia si presentò, mattina e sera, ripetendo la sua sfida e sempre gli uomini di Saul fuggirono davanti a lui. Ma mentre i due eserciti si preparano alla battaglia campale, anche Davide sente le parole di Golia e domanda agli uomini del re: “E chi è mai questo Filisteo non circonciso per insultare le schiere del Dio vivente?”.

Comincia a delinearsi l’arma di Davide, l’appartenenza sua e del popolo a Dio. Ma egli dovrà prima vincere le resistenze di Saul alla sua profferta di combattere Golia. Il re oppone a Davide la sua giovane età, paragonata all’esperienza militare del nemico. Davide sembra cedere alla sua logica: “Il tuo servo custodiva il gregge di suo padre e veniva talvolta un leone o un orso a portar via una pecora dal gregge. Allora lo inseguivo, lo abbattevo e strappavo la preda dalla sua bocca. Se si rivoltava contro di me, l’afferravo per le mascelle, l’abbattevo e l’uccidevo. Il tuo servo ha abbattuto il leone e l’orso. Codesto Filisteo non circonciso farà la stessa fine di quelli, perché ha insultato le schiere del Dio vivente”. Ancora la ripetizione come espediente letterario: “Il Signore che mi ha liberato dalle unghie del leone e dalle unghie dell’orso, mi libererà anche dalle mani di questo Filisteo”.

Saul acconsente e riveste Davide della sua armatura, completa di elmo, corazza e spada. Ma il giovane guerriero non può camminare così appesantito, si libera da tutte le armi e si avvia alla lotta con un bastone, la fionda e cinque ciottoli levigati. È il Signore la forza di Davide e un salmo riprende liricamente la sua fede: “Benedetto il Signore, mia roccia, che addestra le mia mani alla battaglia, le mie dita alla guerra. Mia fortezza e mia liberazione, mio Dio in cui trovo riparo”.

“Il Filisteo scrutava Davide e, quando lo vide bene, ne ebbe disprezzo, perché era un ragazzo, fulvo di capelli e di bell’aspetto”. I due si sfidano a vicenda con le parole: la tracotanza di Golia si oppone alla fede guerriera di Davide. Poi, anticipando il corpo a corpo, Davide scaglia una pietra con la fionda, colpisce Golia e, uccisolo, gli taglia la testa. L’esercito nemico fugge.

“Tutta la terra saprà che vi è un Dio in Israele”: questa la sicurezza di un giovane, chiamato a essere re, la cui figura resta impressa nella memoria comune per le sue vittorie, i suoi peccati, il suo pentimento, il suo canto. Non a caso, le parole bibliche traspaiono nel Manfredi di Dante, emblema della potenza del perdono di Dio anche nell’ultimo istante della vita: “Biondo era e bello e di gentile aspetto”.