Il 6 agosto 2015, in occasione della festa della Trasfigurazione, Papa Francesco — facendo seguito all’Enciclica Laudato si’ — ha istituito per l’intera Chiesa cattolica la Giornata mondiale di Preghiera per la Cura del Creato, fissandone la data al 1° settembre di ogni anno. La Lettera di indizione sottolinea la forte valenza ecumenica della Giornata, che nasce da un’iniziativa del Patriarcato ortodosso di Costantinopoli, e invita a sintonizzare le iniziative cattoliche anche con quelle del Consiglio Ecumenico delle Chiese (Cec). Ne abbiamo parlato con mons. Michele Pennisi, membro del Pontificio consiglio giustizia e pace. 



Mons. Pennisi, qual è l’importanza di questa giornata?

Per prima cosa dobbiamo entrare nella logica e nel modo di pensare e giudicare di questo Papa, che nell’enciclica cita in tre paragrafi il patriarca ecumenico Bartolomeo I e in una nota un mistico islamico, il maestro sufi Ali Al-Khawwas.  Papa Francesco è consapevole che anche le altre comunità cristiane e le altre religioni hanno sviluppato anch’esse una preziosa riflessione sulla cura della casa comune e sulla sua relazione con il Dio creatore. Quando è uscita l’Enciclica Laudato si’ tutti si sono affannati a trascinarlo dalla propria parte, affibbiandogli l’etichetta di Papa ecologico, dimenticando che l’ecologia “integrale” include la peculiarità dell’essere umano e delle sue relazioni con la realtà circostante. La cura del creato riguarda anche il patrimonio storico, artistico e culturale e richiede perciò il protagonismo degli attori sociali locali.



E questo che c’entra con la giornata di preghiera per la cura del creato?

Questa giornata nell’orizzonte di Bergoglio è nata almeno da due punti fermi: lo spirito ecumenico, in quanto si affianca ad una analoga iniziativa da tempo promossa dal Patriarcato ortodosso di Costantinopoli ed è una giornata di preghiera e non di sensibilizzazione o di protesta, come quelle che vengono indette dalla società civile pur con nobili intenti.

E quindi?

Mi pare molto significativo che l’enciclica si concluda con due preghiere, una per i cristiani e un’altra per quelli che condividono la fede in un Dio creatore onnipotente e misericordioso. Per essere compresa fino in fondo va letta nel contesto dell’enciclica, ma soprattutto dell’Anno della Misericordia, come fanno giustamente sia il messaggio della Cei di quest’anno, sia il messaggio pontificio dal titolo “Usiamo misericordia nei confronti della nostra casa comune”.

E cosa dice in sintesi il Messaggio della Cei?

Esprime innanzitutto gratitudine al Signore per il dono della creazione. E questo cambia immediatamente la prospettiva di giudizio: non si tratta né di difendere né di rivendicare, ma di ringraziare perché Dio ha creato il mondo e noi. Ecco perché è innanzitutto una giornata di preghiera.

E poi?

Invita a riconoscere congiuntamente sia il grido che viene dalla terra, per i danni che l’uomo ha causato, sia il grido dei poveri, quelli che nell’enciclica vengono definiti “più abbandonati e maltrattati”. E questa è una chiave di lettura molto importante per comprendere il dramma dei migranti, molti dei quali sono tali proprio per la violenza che ha subito la terra in cui sono nati.

 

E la Misericordia?

E’ il terzo e ultimo punto. Nel Messaggio c’è l’invito “ad allargare il nostro cuore nel praticare la Misericordia, scoprendoci membri di una comunità della creazione, che vive di una molteplicità di relazioni vitali”. E poi una bellissima espressione: “Dobbiamo ancora imparare a condividere la tenerezza del Padre per le sue creature, a riconoscerne il ‘valore intrinseco’, aldilà della loro utilità per noi”.

 

Ciò non toglie che se si dà uno sguardo alle iniziative finora promosse dalle diocesi italiane, non sembrano giornate di preghiera almeno nell’accezione più letterale.

Giornata di preghiera non vuol dire inginocchiarsi 24 ore davanti al Santissimo Sacramento. Questo si fa in altre circostanze e con altre modalità. Pregare significa, come ho detto, innanzitutto ringraziare e poi invocare, non rivendicare o recriminare. Dalla “retta preghiera” nasce una retta azione. Per esempio un modo di percepire l’altro non come nemico o pericolo, ma come risorsa opportunità, come ho colto visitando la mostra sulle migrazioni presente al Meeting.

 

Può essere più chiaro?

Molto semplice: in quella occasione si è affrontato tutto il complesso tema dei migranti, fino agli aspetti più difficili da comprendere e accettare, come la loro presunta tendenza a delinquere e la supposta sottrazione del lavoro agli italiani, partendo dal tema del Meeting: “Tu sei un bene per me”. Ecco: se anche da coloro che molti ritengono “invasori a casa nostra” può venire il bene, a maggior ragione ciò può venire da un coretto uso delle creature, “create da Dio” come buone e nel caso dell’uomo come “molto buono”. Solo perché noi siamo un bene per Dio possiamo concepire gli altri come un bene per noi.

 

Ma come si fa a dire che il creato è un bene per me di fronte ai morti per l’amianto, per il nucleare, o di fronte alla denutrizione o alle malattie ambientali, o ai morti nel terremoto di qualche giorno fa? 

Ecco. Questa è la sfida da accettare e a cui saper rispondere. Di fronte alle tragedie umane risuona l’antica domanda “perché Dio permette il male”? Questo interrogativo scuote la nostra fede che non crede in un Dio lontano, ma un Dio misericordioso e compassionevole, rivelatosi in Gesù Crocifisso che si coinvolge nelle sofferenze umane, ma che ci responsabilizza. Nelle guerre come nelle catastrofi naturali ci sono concrete responsabilità degli uomini nel commercio delle armi, nella ricerca del profitto a qualunque costo, nella cattiva gestione del territorio.

 

Ma la Misericordia alla fine rimane un atteggiamento dello spirito.

No. Papa Francesco l’aveva detto all’inizio dell’Anno Santo ad Andrea Tornielli nel libro intervista Il nome di Dio è Misericordia, parlando della valenza pubblica della Misericordia. Oggi si può parlare di Misericordia come processo politico. Certo la forma politica che papa Francesco ha scelto è la lavanda dei piedi, non la rivendicazione di uno spazio per la politica cristiana. Antonio Spadaro, direttore de La Civiltà Cattolica, alcuni giorni fa a Rimini ha detto che Papa Francesco non concepisce l’Europa come uno spazio, ma come un processo in progress. Questo è il suo modo di concepire tutto il mondo. Un mondo in cui, pur entrando nel merito di tutti i problemi, la Misericordia alla fine prevalga.

 

E questo come si adatta ai temi della difesa del creato?

Gestendo in progess processi che facciano percepire quanto detto all’inizio: il valore del dono della creazione e di noi creature. Il nostro Creatore ci ha fatto così: così liberi da essere in grado di rischiare di distruggere il creato. Alla nostra libertà che può essere usata male Dio contrappone la sua Misericordia. Impariamo a sperimentare — come dice il Messaggio della Cei per la giornata di quest’anno — a sperimentare in modo più intenso il dono del creato, scoprendoci immersi in una misericordia che chiama anche noi ad essere “in uscita”, nella cura responsabile per il creato e per la famiglia umana.

 

Per concludere, lei è anche arcivescovo della Diocesi di Monreale. Come trascorrerà la giornata di oggi?

La mattina ci ritroveremo al bosco di “Ficuzza” nei pressi di Corleone, per un momento di preghiera al quale prenderanno parte rappresentanti di varie confessioni religiose, cui seguirà una tavola rotonda con la partecipazione dei segretari regionali dei sindacati Cgil, Cisl, Uil, della Coldiretti e con la presenza di varie autorità. L’incontro organizzato dall’Ufficio pastorale per i problemi sociali e il lavoro, e dall’Ufficio per l’ecumenismo e il dialogo interreligioso, vuole invitare tutti ad ascoltare il gemito e la sofferenza della nostra terra devastata dagli incendi, inquinata dai rifiuti, rovinata dall’abusivismo edilizio e dal degrado ambientale per una conversione ecologica. Ma per questa occorre un cuore rinnovato, per ricercare assieme le vie di una custodia efficace di “sorella terra” e per riscoprire la centralità dell’uomo non come padrone del creato, ma come suo custode.