A tre mesi dalle elezioni per il nuovo sindaco, Roma è allo stallo. La nuova giunta che dovrebbe amministrare la città è un cantiere catastrofato, il consiglio comunale non si è mai riunito, nessuna delibera è stata discussa. La capitale non è governata e sopravvive per forza d’inerzia. Come una grossa balena spiaggiata, boccheggia. Si rianimerà, magari, ma è un pessimo presagio. Molti si chiedono se siamo già alla resa dei conti, se l’M5s (capace come pochi di ferirsi col solo fuoco amico) ha disatteso le promesse, tradito gli elettori, persa la grande occasione di mostrarsi capace di governare e non solo protestare; rivelato, insomma, d’essere uguale a tutti gli altri.
Reggere una metropoli come Roma è impresa difficilissima. Un semplice accenno ai mali maggiori sarà sufficiente per riportarli alla memoria. Nello specifico la città ha un debito che ne azzoppa le possibilità di manovra; una sorellanza di municipalizzate fuori controllo, incapaci fino ad oggi di svolgere compiutamente il proprio lavoro; un’amministrazione pletorica, scoordinata e inefficiente; una manutenzione della cosa pubblica (immobili, strade, verde) sotto il livello di guardia, forse già sotto la soglia di ripresa; grandi opere (potenziamento delle poche linee di metropolitana, riordino della viabilità) assoggettate a tempi faraonici. In generale ha un assetto urbanistico che la rende, così com’è, ingestibile: è dodici volte più estesa di Parigi; ha accorpato innumerevoli borgate nate nel dopoguerra e cresciute col boom economico (l’uno e l’altra preistoria patria) con le regole caotiche dell’abusivismo; si è sviluppata senza alcuna programmazione, per volontà di palazzinari, politici e amministratori tesi al bene personale o tutt’al più di banda (attualità ancora feconda). Sfilacciata territorialmente, Roma fuori le mura, in numerose aree ampie come piccole e medie città, è simile a un rizoma impazzito, senza capo né coda, privo di gerarchie interne, che riproduce un tessuto cittadino strutturalmente impossibilitato a garantire a tutti i cittadini servizi (scuole, presidi sanitari, trasporti) e opportunità (partecipazione politica, socialità, cultura) in egual misura. Ai mali specifici e generali di Roma, dovremmo poi aggiungere quelli nazionali, il cui semplice elenco è però fuori questione per mancanza di spazio.
Detto ciò, occorre subito sfatare alcuni miti: l’M5s è l’espressione di un nuovo modo di concepire la democrazia, non è di destra né di sinistra, è antisistema. Dopo di che ci apparirà più chiaro con chi abbiamo a che fare.
Onestà e trasparenza, curricula e meritocrazia, espressione della volontà popolare via internet. Soprattutto politica senza partiti (per definizione corrotti). Ricordiamoci infatti che la compagine M5s romana — vale a dire gli iscritti al sito beppegrillo.it amministrato dalla Casaleggio Associati srl e residenti nella capitale, i grandi elettori di Virginia Raggi — è composta da 1.764 militanti, il cui solo merito e unica pratica politica è di essere iscritti al suddetto sito da un certo lasso di tempo. E basta.
È un modello di cosiddetta democrazia diretta, non rappresentativa, che dovrebbe poi affidare la gestione della cosa pubblica a persone tecnicamente qualificate provenienti dalla società civile. Da cittadino a cittadino, senza mediazione politica. Forse bisognerebbe ricordare all’M5s (e fin che ci siamo anche alla sinistra-sinistra) che la cosiddetta società civile è per definizione il luogo in cui ci manifestiamo come individui egoisti, indipendenti gli uni dagli altri, legati solo da rapporti contrattuali stretti sul mercato. Il cittadino che è in noi, la persona moralmente responsabile del bene comune, si palesa semmai nella sfera politica variamente articolata nello Stato. Fare a meno dei partiti, espressione di una volontà generale, significa, nel qui e ora, fare a meno della democrazia, prefigurare una fase post-democratica in cui comandano direttamente i multiformi aggregati dei singoli egoismi: le liste civiche, i gruppi in difesa di particolari diritti, le associazioni di categoria, specialmente i consigli di amministrazione. Ognuno chiuso nel proprio orticello. Nelle democrazie storicamente evolutesi a partire dalla concezione liberale (forse non in quelle “socialiste”, ma lì siamo in un altro mondo, quello dei gulag) i partiti sono imprescindibili e, quando sono in crisi, necessitano di altri aggregati collettivi, portatori di istanze generali e includenti, dai quali poter rinascere. Ma se fosse la politica come capacità di contrapporsi al migliore dei mondi possibili ad essere in crisi, come io credo? In questo caso, l’M5s ne sarebbe la prova esaustiva. E il popolo, in tutto ciò? A sferruzzare ai piedi della ghigliottina, sotto l’incantesimo del peggior giustizialismo (e anche questo andrebbe ricordato alla sinistra-sinistra, se già non lo sapesse perfettamente e non lo avesse coccolato). Se la “vecchia politica” è morta, quella nuova battezza una governance che cancella l’idea stessa di governo, di conflitto, di partecipazione e impone una gestione opaca del potere per mezzo di lobby e consorterie, le sole strutture di mediazione rimaste sulla piazza.
L’M5s è di destra, autoritario e reazionario, eccome! Gaia, il manifesto di Casaleggio, un filmato promozionale, un gioco com’ebbe a definirlo l’autore, sintetizza la storia mondiale in cinque minuti. Vi si narra come le reti di comunicazione (e detto così sembra quasi una cosa seria) abbiano permesso a gruppi massonici (in maiuscolo), religiosi e finanziari, un po’ anche al Bilderberg (anch’esso in maiuscolo), di governare il mondo. Vi si preconizza, grazie a internet, alla rete, dopo una lunga guerra mondiale che ridurrà l’umanità a un miliardo di persone, un Nuovo Ordine Mondiale (proprio così) privo di conflitti, di partiti politici, ideologie e religioni. Questo nuovo Candide, questo 1984 del XXI secolo, è un Mein Kampf medicalizzato in salsa New Age per l’edificazione di una specie di Scientology all’italiana. A ben vedere, Gaia prefigura (semplificando oltre misura, ma con estrema coerenza) la riduzione di quell’85 per cento della popolazione mondiale tendenzialmente superflua al mercato grazie alla rivoluzione della microelettronica e all’abbandono delle politiche di sviluppo (né produttori, né consumatori), immaginando per i pochi ricchi sopravvissuti (più i nani, i buffoni e le ballerine) un mondo bio, animalista, forse anche un po’ vegano.
Tornando al più concreto presente, l’amministratore modello pentastellato — trasparente, onesto, competente, libero da qualsivoglia legame sociale interpretabile come possibile conflitto d’interesse, mai indagabile — ricorda neanche troppo alla lontana il bravo burocrate, buon padre di famiglia, che può fare e fa il male se sta dentro un meccanismo politico-sociale che lo spinge ad agire “senza pensare” (come direbbe Hannah Arendt). Vi ricorda qualcuno?
L’M5s è del tutto funzionale al sistema, se con esso non intendiamo banalmente gli apparati dei partiti, semmai semplici componenti del sottosistema politico. Anzi, nei nostri tempi trans-moderni, l’M5s dà corpo alla crisi di autonomia della politica, sempre più succube di una economia che tutto governa (o meglio tutto mette in crisi), che ha informato secondo le proprie astratte e automatiche necessità ogni aspetto dell’umano. Meglio, contribuisce a predisporre strumenti e attitudini che danno vita ad una pseudo politica: infantile (uno vale uno, lo streaming), crudele (le calunnie, le epurazioni), mortale (le elezioni ridotte a un’ordalia secondo le regole del Grande Fratello: o dentro o fuori!). L’M5s non tiene gli italiani lontano dal populismo di estrema destra, come vorrebbe farci credere l’ineffabile comico, inquietante e bugiardo come tutti i clown. Al contrario, l’M5s li acclimata e li addestra, e prepara la strada al nuovo che verrà.
Certo, anche le altre forze, di centro-sinistra e di centro-destra, hanno le loro responsabilità, non solo su come è ridotta Roma, ma sull’apparente mancanza di reale alternativa. Auguriamoci che la soluzione non sia rincorrere l’M5s, non sia farsi simile ad esso: opporsi al mainstream forse non paga nel breve, ma può essere una soluzione nel lungo.