Chi è nato nell’immediato dopoguerra ha avuto della seconda guerra mondiale un’esperienza mediata, generata dai racconti dei padri, dalla loro memoria, ancora fresca, dei tragici eventi vissuti. Le generazioni successive hanno visto allentarsi questo legame con gli avvenimenti bellici, ma in molte famiglie i nonni hanno continuato a mantenere vivo il ricordo di quello che era stato. Come è nella natura delle cose, oggi, a più di settant’anni dalla fine della guerra, le persone che hanno vissuto in prima persona le tragedie belliche stanno progressivamente scomparendo e per gli adolescenti la seconda guerra mondiale non è più cronaca, non è più memoria famigliare, ma è diventata definitivamente storia. E assumono allora un ruolo centrale i manuali scolastici, che permettono ai ragazzi di ritrovare un legame con un passato per loro del tutto sconosciuto. 



Ma qual è la storia della seconda guerra mondiale e, soprattutto, possiamo davvero dire che esista una storia condivisa? Nell’ambito della storia italiana su alcuni aspetti si è certamente arrivati a conclusioni univoche, ma esistono altri punti che rappresentano ancora oggi un terreno di scontro per gli storici di orientamenti diversi. Pensiamo anche solo a quante polemiche accompagnano ogni anno il 25 aprile, che alcune forze politiche continuano a rifiutarsi (palesemente o meno) di festeggiare. E anche per quanto riguarda la terminologia, continuano a esserci accesi dibattiti in ambito storiografico: l’Italia è stata teatro di una guerra “civile”, “patriottica” o “di classe”? 



Le questioni aperte, però, non si limitano solamente all’Italia: se si osservano i manuali scolastici di nazioni diverse, sembra che questi paesi abbiano vissuto guerre differenti. E non si tratta solamente della naturale discrepanza fra i punti di vista dei vincitori e dei vinti: le differenze riguardano anche Stati che si sono trovati dalla stessa parte della barricata. 

A tutto questo c’è una spiegazione logica. I manuali di storia per le scuole rappresentano spesso il primo (se non l’unico) incontro fra le nuove generazioni di un paese e il loro passato e sono dunque uno strumento fondamentale per formare la consapevolezza storica e civile dei giovani. Non si può tuttavia pensare che essi siano “oggettivi”: l’interpretazione storica di un evento, soprattutto recente, può variare in senso sia diacronico sia diatopico. I manuali comunicano lo spirito del proprio tempo ed esprimono la cultura che li ha generati: è quindi naturale che un manuale italiano prenda in considerazione aspetti della seconda guerra mondiale diversi da quelli che può considerare un manuale russo o tedesco. 



Non bisogna inoltre dimenticare che molto spesso, nel caso della seconda guerra mondiale, le diverse nazioni devono fare i conti con un passato imbarazzante, che si tenta, se non di negare, almeno di mettere in secondo piano. 

È il caso del patto Molotov-Ribbentrop (o, come viene spesso indicato nei manuali tedeschi, patto Hitler-Stalin), che nei manuali russi viene giustificato come un gesto a cui Stalin fu obbligato per proteggere il proprio paese e per non ritrovarsi in una posizione di isolamento internazionale. Non a caso si evita di parlare di “annessione” o “aggressione” nei confronti dei territori occupati fra il 1939 e il 1941, ma si preferisce scrivere di come l’Urss abbia “incorporato” queste zone. Per la Russia la seconda guerra mondiale è la Grande guerra patriottica, che ha mostrato al mondo la potenza di questo paese e che ancora oggi viene portata a dimostrazione della sua forza: condannare quindi il patto fra Stalin e Hitler vorrebbe dire rivedere criticamente la politica dell’Urss durante quegli anni e in un certo senso infangare il ricordo di una vittoria immacolata, cosa inaccettabile nella Russia di oggi. Diverso è il punto di vista dei manuali polacchi o lituani, che vedono invece in questo patto e nel protocollo segreto a esso allegato una dimostrazione della cinica politica dell’Unione Sovietica. D’altra parte, il desiderio di riabilitare il proprio passato è visibile anche nei manuali pubblicati in Italia, che sembrano insistere nel voler trasmettere l’immagine degli “italiani brava gente” e spesso preferiscono sorvolare sulle violenze commesse dai nostri militari in Grecia e in Jugoslavia. 

Dobbiamo dunque pensare che sia impossibile arrivare a una memoria realmente condivisa della seconda guerra mondiale? 

Una via, in realtà, esiste ed è quella che parte dall’analisi di esperienze diverse. Iniziative di studio come quella proposta dalla mostra “Different wars”, inaugurata ieri a Milano e dedicata al confronto fra i manuali di storia per scuole superiori di sei paesi (Germania, Polonia, Lituania, Repubblica Ceca, Italia e Russia), possono aiutare a capire come una memoria comune possa nascere anche dall’unione di più memorie singole. Ciò che viene proposto da questa mostra, organizzata dal gruppo di lavoro “Historical Memory and Education” nato all’interno dell’EU-Russia Civil Society Forum e allestita in Italia dall’Associazione Memorial Italia in collaborazione con la Casa della Memoria, l’Istituto Lombardo per la Storia Contemporanea e il Comune di Milano, è un superamento della dimensione meramente nazionale: dalla memoria di altri paesi possiamo conoscere aspetti che nella nostra tradizione storiografica vengono posti in secondo piano o del tutto taciuti. 

Possiamo così arricchirci di piccoli frammenti di memoria che si uniscono a quelli che già possediamo, per andare a comporre un quadro più ampio. La memoria condivisa non è un sogno, ma nasce dalla ricerca costante di un punto di incontro fra culture diverse, da uno studio che ci permette di conoscerle e abbracciarle. 

 

“Different wars. National School Textbooks on WWII”
Casa della Memoria, Via Federico Confalonieri, 14, Milano. Dall’11 al 26 gennaio, orario 9-17.