È facile dire che in Stivali di gomma svedesi (Marsilio 2016) Henning Mankell ricordi certi film di Ingmar Bergman, che, tra l’altro, di Mankell era suocero. Certo l’ambientazione, la Svezia lontana dalla città, il gelo delle isole semispopolate, è la stessa, come pure è la medesima l’abilità di vedere ovunque lo squallore, i segni del degrado, dell’abbandono, della morte, e ricordano il maestro di Sussurri e grida anche certi dialoghi ispirati a una secchezza fredda e spoglia. Eppure, l’ultimo romanzo di Mankell, il creatore del commissario Kurt Wallander, è qualcosa di diverso: un giallo, certo, ma senza il suo personaggio più noto (quello, per intenderci, interpretato da Kenneth Branagh); ma anche una sorta di apologo sulla vecchiaia e sulla morte.
Il protagonista, Fredrik Welin, un chirurgo settantenne, si è ritirato da anni in un’isola sperduta, in un arcipelago di pescatori che si va spopolando lentamente, ma inesorabilmente. Il suo ritiro dalla professione medica, però, non è dovuto al pensionamento, ma al fatto che un intervento ha avuto un esito nefasto per la paziente, che è rimasta invalida (ma il romanzo non si soffermerà su questi fatti). Da allora Welin si è ritirato in solitudine, partecipa poco anche ai piccoli riti della comunità di pescatori di cui fa parte, limitandosi a misurare la pressione all’amico Jansson, ex postino dell’isola, e a dispensare qualche consiglio medico senza impegno e qualche blando medicinale a turisti di passaggio.
Una notte d’autunno, però, la sua casa, la bella casa di tronchi di quercia costruita dai suoi antenati e dove vivevano i suoi nonni, brucia: Fredrik viene svegliato dal calore e dalle luci abbaglianti delle fiamme, e riesce appena a salvarsi, dopo aver avuto giusto il tempo di mettersi sulle spalle l’impermeabile e di infilarsi, con fatica, un paio di stivali di gomma, che, infatti, si riveleranno spaiati. Della casa non restano che ceneri fumiganti, e Fredrik si ritira momentaneamente a vivere fra la vecchia roulotte e la rimessa, in attesa che l’assicurazione liquidi la sua pratica: ma ben presto capisce che la dinamica dei fatti — le fiamme si sono propagate da quattro punti simultaneamente —, fa pensare a un incendio doloso, di cui lui è sospettato.
Nel frattempo, mentre si rincorrono i ricordi della sua infanzia, trascorsa accanto a un padre, cameriere incapace di conservare a lungo un lavoro, e della sua gioventù irrequieta, costellata di viaggi a Roma e Parigi e di incontri sentimentali frammentari, ricompare la figlia Louise, nata da una relazione poco fortunata: la donna ha ormai passato la quarantina, e Fredrik scopre con sorpresa che aspetta un bambino. La misteriosa vita privata di Louise, i suoi andirivieni dalla Francia alla Svezia, la singolare forma di volontariato in cui si impegna (condurre malati terminali per l’ultima volta al museo per ammirare capolavori artistici), il pesante non-detto che la circonda, fanno nascere nel padre il dubbio su quale sia il vero lavoro della figlia, che egli scoprirà a Parigi.
Un’altra sezione del libro è occupata dalle indagini in corso sull’arcipelago: i roghi si moltiplicano, anche durante l’assenza di Welin, ed è presto chiaro che si tratta dell’opera di un piromane; ma, in verità, la trama gialla qui è assolutamente minoritaria nell’economia del racconto (e anche piuttosto scontata nella soluzione, ma non era la genialità dell’intreccio investigativo che premeva a Mankell): il romanzo, infatti è più uno studio sulla vecchiaia e sulle sue aspirazioni e aspettative, sulla solitudine e sulle sue conseguenze. Accanto alla progressiva scoperta della figlia Louise, e all’indagine sul piromane, Stivali di gomma svedesi presenta poi un terzo nucleo tematico, quello della progressiva conoscenza di Fredrik con Lisa Modin, la giornalista del quotidiano locale che lo affascina fin dal primo incontro e con cui, subito, sogna, forse come antidoto alla vecchiaia, di intrecciare una storia d’amore. Ma le cose non vanno mai come le sogniamo: Lisa raggiungerà Fredrik a Parigi, ma fra i due nascerà solo una profonda amicizia, anche se l’anziano medico non si fa illusioni perché sa che un giorno la donna andrà a lavorare per un altro giornale, per una rete tv, in città.
E quanto al caso del piromane, la sua soluzione è costellata da tanti altri piccoli misteri: chi ha rifatto il letto nella casa in rovina in un villaggio semiabbandonato a poche miglia dal paese? Chi era davvero la signora Oslovski, un’immigrata specializzata in motori, morta, in modo imprevisto, mentre lavorava all’auto d’epoca che si era costruita pezzo per pezzo? Ogni vita, sembra dire Mankell, anche la più apparentemente banale, cela un segreto, come quella dell’amato nonno — uomo mite, ma capace di uccidere un capriolo con inaudita violenza —, o un paradosso, come quella di Louise, borseggiatrice caritatevole, o quella della Oslovski, “la [cui] vita innaturale (…) si era conclusa con una morte naturale”. E se il vecchio dottore molto spesso si sente lui stesso una sorta di stivale spaiato, il senso profondo di questa meditazione sul senso della vita — meditazione naturalmente senza rivelazioni epocali, ma dotata di una sua grazia invernale — trova una delle sue vette nella conversazione tra Jansson e Fredrik, “due vecchi in un posto adatto a grandi e piccole verità”, a proposito del fatto che il mondo contemporaneo sembra aver dimenticato che “la morte è una parte naturale della vita” e che “in questo paese non impariamo più a morire”.
Nessuna risposta è del resto possibile: anche il medico, che ha visto da vicino per anni la morte, non sa che dire: “Rimasi in silenzio perché non avevo una risposta. Nessuna delle persone morte di fronte alle quali mi ero trovato nella vita mi aveva fornito una spiegazione sensata o la capacità di accettare la morte che prima o poi avrebbe colpito anche me.
Si muore soli, e in un modo che rimane ignoto, per quanto sia possibile stabilire una diagnosi medica” (ibid.). Eppure, nonostante questa riflessione, il libro non è disperato: la casa del dottor Welin rinascerà, diversa, ma pur sempre ospitale, per una nuova famiglia, con sepolta nelle fondamenta una memoria del passato; e Fredrik stesso non è solo, anche se non nella forma che aveva sognato.
Rimpiangeremo uno scrittore capace di offrirci, in un linguaggio così piano e quotidiano, evitando volutamente enfasi, retorica e voli pindarici, una riflessione così forte sulla morte: Mankell, dopo una lunga malattia, testimoniata nel libro-testamento Sabbie mobili, è mancato il 5 ottobre 2015.