Ci sono molti modi per accostarsi al mondo affascinante del Rinascimento.
Quello che ancora prevale nell’immaginario collettivo, alimentato dalla divulgazione storico-giornalistica più sbrigativa, insiste sull’idea dell’esplosione liberatrice: ci fu allora una specie di risveglio potente, che ebbe la forza di mettere in crisi i quadri irrigiditi della cultura e della vita sociale plasmate dalla lunga tradizione medievale, e questo gettò le basi di una modernità concepita come cantiere rivoluzionario del progresso, che porta diritti al trionfo del nostro presente. È, in fondo, ancora la vecchia idea ottocentesca del Rinascimento “tutto porpora e oro”, luccicante solo di novità ambiziose, fiorito negli ambienti delle aristocrazie principesche e sostenuto dalle élite disposte a rompere i ponti con il passato per lanciarsi lungo le strade della crescita del dominio politico-economico di un pianeta avviato a farsi per la prima volta globalmente unificato.
Sono gli stessi schemi di pensiero consacrati dal grande affresco di Burckhardt sulla civiltà del Rinascimento in Italia, in linea con le tesi di De Sanctis e la cultura del liberalismo borghese a cui entrambi si sono ispirati: solo per citare due dei maestri più influenti che potremmo chiamare in causa per capire dove portava l’orientamento che faceva coincidere il senso dello sviluppo storico con l’esaltazione dell’individualismo moderno e la scissione tra ragione e fede religiosa, nella prospettiva che mette in primo piano proprio l’elemento della frattura e della contrapposizione dualistica: il vecchio mondo visto come un freno che doveva essere spazzato via per fare posto all’ascesa del nuovo, e il nuovo equiparato al veicolo di una positività inedita, totalmente buona, taumaturgica e fonte di emancipazione per ogni uomo.
Da tempo, però, la ricerca storica internazionale più qualificata ha mostrato le contraddizioni di questa visione semplificata della nascita di ciò che noi chiamiamo “moderno”. Rimettere in discussione i presupposti e le dimensioni dei salti rivoluzionari che avrebbero consentito il passaggio alla civiltà europea degli ultimi secoli ha portato a una ricentratura del Rinascimento sugli assi del rimodellamento e della costante elaborazione di un patrimonio precostituito. La metamorfosi che lo ha investito è il teatro del dialogo con una tradizione immaginata come un corpo vivo, dotato di risorse capaci di reinterpretare i codici ereditati e di “riciclarli” secondo una fisionomia originale, aperta all’incremento di valore e alle riforme necessarie per coniugare con esigenze radicalmente mutate i dati di un impianto che conosceva la stabilità della tenuta insieme all’apertura verso l’espansione.
Nella cornice di questo ripensamento della genesi dell’ossatura del mondo moderno, un test cruciale di verifica è diventato il ruolo attribuito all’elemento religioso. Si tratta di capire quale posto gli va riconosciuto nel cammino di evoluzione che, dalla piena maturità della cristianità medievale, conduce alle crisi tre-quattrocentesche e, successivamente, alla frammentazione confessionale dell’Occidente europeo a partire dalla “protesta” luterana.
Come hanno insegnato in primo luogo Paul Oskar Kristeller, la scuola anglo-americana di studi in chiave antropologica di storia dell’arte e della mentalità collettiva, Charles Trinkaus e John W. O’Malley, così come tanti altri ricercatori di indirizzi storici diversi, è diventato ormai chiaro che il fatto religioso è stato una delle pietre miliari di costruzione su cui si è modellata l’identità dell’uomo moderno e si è ridisegnata la fisionomia del mondo di cui egli è stato l’artefice. Tutto questo non è accaduto nelle oscure periferie della società europea, in polverose sacrestie o vetusti chiostri monastici ai margini della storia. È maturato nel cuore delle istituzioni centrali del potere, là dove si decidevano le sorti di compagini statali avviate a soggiogare i cinque continenti, ai vertici più alti delle cerchie intellettuali che hanno fatto lievitare il dominio dell’intelligenza umana sui segreti della realtà materiale dell’universo che ci contiene.
La centralità e la forza generatrice della coscienza religiosa, ripensata a fondo e riempita di nuovi contenuti nel travaglio di una revisione sistematica dei suoi modi di porsi nella società e di segnare il profilo del destino umano, erano già il nodo essenziale del Problema dell’incredulità nel XVI secolo di Lucien Febvre. Lungo le stesse vene si sono ostinati a scavare i migliori tra gli studiosi di storia della Chiesa, della vita religiosa e del pensiero teologico che hanno operato nel corso del secondo Novecento, come Hubert Jedin, Giuseppe De Luca, Henri de Lubac. Il lucido saggio di quest’ultimo su Pico della Mirandola (L’alba incompiuta del Rinascimento, trad. it. 1977) è una proposta di approccio che conserva tutt’oggi, a diversi decenni di distanza dalla prima comparsa, la sua provocante carica di suggestione.
Il dossier che “LineaTempo” presenta nel numero appena uscito si inserisce in questo filone e ci aiuta a restituire tutta la vivacità dei suoi colori a un Rinascimento su tanti versanti sottovalutato, spesso sbrigativamente sfigurato. Alla prova dei fatti, gli stereotipi di una visione secolarizzante della modernità occidentale non resistono alle smentite di una ricca documentazione di segno alternativo, che di quei luoghi comuni mostra, se non la fragile inconsistenza, quanto meno il rischio di squilibrio unilaterale. Lo si vede molto bene nel caso qui preso in esame di Lucrezia Borgia, la figlia di papa Alessandro VI Borgia divenuta moglie in terze nozze del duca di Ferrara Alfonso I d’Este, nella mentalità corrente assunta a simbolo della corruzione dell’umano soffocato da una religione ridotta a precario formalismo, che si può invece riscoprire ora in una luce profondamente diversa, aderendo alle testimonianze che fanno emergere la sofferta e sincera problematica religiosa incarnata nella sua anomala vicenda.
Anche da altri punti di osservazione, interventi ugualmente rigorosi ci permettono di cogliere come la religione sia stata fattore dinamico della cultura, delle idee e dei prodotti artistici della svolta rinascimentale, contribuendo a nutrirne in modo decisivo alcune delle espressioni più clamorose e rivelatrici, da Michelangelo e Vittoria Colonna fino ad Ariosto, dalla nobiltà sofisticata del mondo delle corti alle alte gerarchie e al papato della Chiesa cinquecentesca, posta di fronte alla grande sfida della riforma luterana.