Verrà l’anno, della Russia l’anno nero,/ Quando degli zar la corona cadrà;/ Dimenticherà il volgo il passato amore,/ E nutrimento di molti saranno morte e sangue.

Nel 1830 il poeta romantico Lermontov anticipava quanto sarebbe accaduto quasi un secolo dopo: potere profetico degli intellettuali?

In occasione di questo anniversario la domanda è pertinente, perché da tempo si dibatte se dietro le grandi rivoluzioni della modernità occidentale stia più una causalità ideologico/ideale oppure fattori economico-sociali e certamente la rivoluzione d’Ottobre è stata realizzata da Lenin secondo una prassi guidata da un progetto teorico ispirato al marxismo.



Ci conforta nell’interrogarci in questa direzione la recente presentazione di una mostra all’ultimo Meeting di Rimini: Russia 1917. Il sogno infranto di un “mondo mai visto”, con la pubblicazione dell’omonimo catalogo che in realtà costituisce un vero e proprio saggio ricco di documentazione inedita sulla Rivoluzione (Dell’Asta-Carletti-Parravicini, Russia 1917. Il sogno infranto di un “mondo mai visto”, La Casa di Matriona 2017) e la recentissima pubblicazione in rete dell’ultimo numero di LineaTempo intitolato proprio “A 100 anni dalla Rivoluzione russa” che indaga sul senso di questa svolta radicale della storia.



Da entrambi emerge che, seppur oggetto di dibattito e interpretazioni divergenti  ancor oggi (poteva andare in un altro modo? Il progetto bolscevico è un’utopia o un’ideologia? Il regime è totalitario fin dall’inizio?) la Rivoluzione costituisce per tutti un evento epocale per il XX secolo e che interrogarsi sul suo senso è fondamentale per comprendere le radici e le possibilità del nostro oggi.

Sul piano storiografico emerge che la complessa “modernizzazione” della Russia zarista a cavallo dei decenni della cosiddetta Belle Époque europea non è stata solo “lacrime e sangue” per le classi popolari e repressione poliziesca per il mondo intellettuale; la transizione verso un ordinamento socio-politico più moderno e liberale poteva realizzarsi, sia attraverso la prosecuzione delle riforme scaturite dalla svolta del 1905, sia anche con una differente gestione della rivoluzione del febbraio 1917.



Premesso che la rivoluzione russa si inscrive come l’unica tra le rivoluzioni moderne che ha come obiettivo la trasformazione globale dell’ordinamento sociale e quindi dell’uomo, le parole di Lermontov ci sembrano profetiche anche per un altro aspetto.

Infatti, accanto all’abilità politica e a circostanze fortuite (cosa sarebbe successo se Lenin non fosse riuscito a rientrare in Russia la notte del 3 aprile 1917 alla Stazione Finlandia di Pietrogrado in un treno “controllato” dai tedeschi?), Lenin si è giovato di un fondamento teorico per guidare tutte le azioni del progetto bolscevico di conquista del potere, un fondamento che trae ispirazione dal marxismo, ma che lo trasforma in un progetto ideologico capace di reinterpretare tutto (non a caso lo stesso Gramsci parlò di una Rivoluzione contro il Capitale) e di introdurre la Russia verso una prospettiva totalitaria di trasformazione di ogni aspetto della realtà.

La novità che emerge da questi nuovi apporti sulla Rivoluzione è che il successo di un’ideologia così radicale (come sottolinea Dell’Asta, “il male autentico e ultimo dell’ideologia consiste non nel fatto che l’ideologo abbia un’idea cattiva, ma nel fatto che ci sia un’idea, quale che essa sia — buona o cattiva —, nel cui nome si può negare ed eliminare l’uomo reale”) è stato preparato dalla decadenza e dal formalismo delle istituzioni secolari della Russia, quali la Chiesa e lo zarismo.

La funzione precipua della tradizione religiosa e statuale russa, essere introduzione alle novità del reale secondo una prospettiva capace di rielaborare i cardini dell’orizzonte umano e divino conquistato dalle generazioni precedenti, è stata smarrita, favorendo quindi la caduta di senso e l’aprirsi di un vuoto interpretativo del significato globale della storia in cui è stato messo in questione il rapporto del popolo russo con la realtà, cosicché facilmente l’azione umana più decisa e capace di manipolare la realtà è riuscita ad affermarsi.

L’altra novità è la riscoperta del tentativo di un gruppo di pensatori religiosi di riattualizzare le virtualità umanistiche della tradizione (in particolare Berdjaev, Frank e Bulgakov).

Questi, dopo un’iniziale adesione al marxismo, ne hanno rifiutato consapevolmente le premesse antiumanistiche e, convinti dello strutturale e decisivo rapporto tra fede nell’azione divina e vita, hanno invocato cambiamenti rispetto al cristianesimo sclerotizzato e cristallizzato dallo zarismo e si sono battuti per una riforma della Chiesa e della società. 

Già Nietzsche aveva preannunciato la problematica del XX secolo col suo tema della “morte di dio” e dell’avvento del nichilismo; ora questi pensatori ne fanno emergere il risvolto storico-esistenziale (anticipando di qualche decennio la grande domanda di T.S. Eliot): è l’umanità che ha abbandonato la Chiesa o è la Chiesa che ha abbandonato l’umanità?

Rimane il grido profetico di un pensatore come Berdjaev che già nel 1918 intravede nel successo bolscevico, invece dell’alba di un mondo nuovo, l’inizio di un’epoca di nichilismo antropologico (“La Rivoluzione …è stata il suicidio di un popolo che ha rinnegato un grande passato e un grande futuro in nome dell’interesse del momento, a causa del nichilismo che ha avviluppato l’anima popolare”).

Sempre Berdjaev ci lascia un invito che, ancorché scritto nel dicembre del 1917, appare estremamente attuale in questo inizio del XXI secolo e vale come monito verso tutti i progetti di “paradiso in terra”: “Il risanamento spirituale inizierà solo quando si capirà … l’eterna divisione e contrapposizione tra il mondo del bene e quello del male, tra la bellezza e la nefandezza, tra la verità e la menzogna, tra Dio e il diavolo. Questa contrapposizione non è la contrapposizione di interessi umani, ma qualcosa di più alto e di più profondo. Le cose cominceranno ad andar meglio solo quando si capirà che l’idea del paradiso ‘socialista’ in terra trasforma proprio la nostra vita su questa terra in un inferno. In questo paradiso immaginario ‘resterà tutta la natura demoniaca dell’uomo. Selvaggia di per se stessa, lasciata senza limiti e leggi, sarà preda di un furore inarrestabile’. In questo momento quello cui si deve por mente non è né il paradiso terrestre né la vita beata, ma lo scrupoloso adempimento del proprio dovere e la realizzazione della giustizia di Dio”.