“Se questo libro fosse stato pubblicato nel 2010, quando Gheddafi, reduce da un trionfale viaggio a Roma nell’agosto dell’anno precedente, era l’indisturbato gestore di una delle maggiori rendite petrolifere del pianeta, molti errori sarebbero stati evitati”.
Queste le parole con cui Sergio Romano esordisce nella prefazione, da lui firmata, del libro Incognita Libia, cronache di un paese sospeso. L’autrice del volume, pubblicato da Franco Angeli, è Michela Mercuri, docente Sioi (Società italiana per l’organizzazione internazionale) e Università Nicolò Cusano, oltre che apprezzata analista specializzata sulla Libia.
Ricostruendo la storia del Paese dall’epoca ottomana fino agli ultimi risvolti storico-politici, Incognita Libia sembra dare ragione, pagina dopo pagina, alle parole di Sergio Romano. Risulta, infatti, impresa difficile se non impossibile quella di comprendere la difficile ed eterogenea realtà libica contemporanea e risolverne i problemi, senza indagare a fondo le radici storiche, sociali e politiche delle attuali dinamiche del paese. Per questa ragione, Michela Mercuri ritiene opportuno partire dagli albori di una Libia che, al di fuori della denominazione, non può essere storicamente considerata una realtà nazionale coesa né unitaria sin dalle origini.
Già ai tempi della dominazione ottomana, infatti, la Libia altro non era se non quel vasto territorio, perlopiù desertico e con una popolazione divisa in gruppi tribali, diviso tra le sfere d’influenza di due città storiche: Tripoli e Bengasi. È interessante notare come questa divisione, formalmente soppressa dall’impresa coloniale italiana, rispecchia quasi pedissequamente il “bipolarismo imperfetto” che oggi domina il panorama politico libico: da una parte il Governo di Accordo Nazionale della Libia presieduto da Fayez al-Serraj, con sede formale a Tripoli; dall’altra l’Esercito Nazionale Arabo Libico guidato dal generale Khalifa Haftar, che domina su Tobruk, Bengasi e parte della Sirtica. Nel mezzo, invece, una miriade di milizie più o meno legate ai due leader, talvolta di matrice salafita e jihadista.
Questo è solo un esempio per dimostrare, una volta di più, che fenomeni attualissimi hanno in realtà radici ben più profonde di quanto, erroneamente, si possa pensare. Il volume di Michela Mercuri, infatti, chiarisce che la disomogeneità intrinseca nella storia della Libia non è stata definitivamente archiviata qualche secolo fa. La vocazione localistica e tribale del paese, infatti, è riemersa prepotentemente nel 2011 dopo la caduta di Gheddafi. Un leader che, nei suoi limiti e nei suoi atteggiamenti spesso al limite dell’umano raziocinio, è stato davvero il coperchio di quel vaso di Pandora che è oggi la Libia.
Un pregio, tra i tanti dell’opera, sta nella dedizione a scandagliare in modo approfondito il discorso ideologico e la pratica politica alla base del potere di Gheddafi. Senza questi elementi non è possibile capire come la Libia, dopo la sua morte, possa essere deflagrata internamente e poi piombata nella frammentazione attuale. Una realtà, quella libica contemporanea, di cui spesso si parla solo ed esclusivamente in chiave “migranti”. Tra le righe del testo, invece, traspare l’idea che, forse, sarebbe più opportuno per gli attori internazionali favorire la pace e la riconciliazione nazionale nel paese, piuttosto che focalizzare gli sforzi solo sulla gestione dei flussi migratori. Questi sono certamente la questione politicamente più scottante, ma ignorare il contesto potrebbe essere il più grave degli errori. Incognita Libia può costituire, alla luce di tutto questo, uno strumento assai utile ad inserire nel giusto contesto le informazioni sulla Libia, quando notiziari, approfondimenti, reportage e lavori sul campo, non bastano più.
Per la struttura, per la chiarezza, per l’impostazione scientifica, per il linguaggio scorrevole e per molto altro ancora, l’opera di Michela Mercuri è certamente, a detta di chi la storia dei paesi arabi l’ha studiata, il libro che tutti gli studenti e gli appassionati vorrebbero leggere e studiare. Un libro che parla di una Libia che, forse, non è mai esistita e che tutt’oggi non esiste. Una Libia che però, forse, un giorno, esisterà.