I PREGIUDIZI IN ALCUNI ATENEI ANGLOSASSONI
Dichiarare la propria fede cristiana in alcuni atenei del mondo anglosassone può rivelarsi deleterio per la propria reputazione accademica, nonché per quella sociale? Questa è la domanda che un recente reportage realizzato tra alcune università del Regno Unito e le più prestigiose degli Stati Uniti ha provato a porsi, indagando tra gli studenti quale sia il loro rapporto con la religione e anche la loro opinione riguardo a quello che può essere definito una sorta di coming out “religioso”: infatti, la scozzese Madeleine Kearns, una giornalista che lavora a New York, spiega proprio come presso l’Università di St. Andrews presso la quale aveva studiato ha anche imparato che la religione cristiana può essere accettata in società ma non certo in un contesto intellettuale quale è quello accademico: una delle sue vecchie professoresse le avesse apertamente detto che quelle idee erano oramai datate, mentre post-strutturalismo, marxismo, teorie freudiane e decostruzionismo siano sempre di più “à la page” negli atenei, tanto che la giornalista non esita a definirle come “delle interpretazioni della realtà facili da usare e facili pure da prendere in prestito”.
LE PRESE IN GIRO DEGLI STUDENTI CRISTIANI
Tuttavia, questo contesto culturale non pare essere tipico solamente del Regno Unito da cui lei proviene ma anche degli Stati Uniti d’America, il luogo dove lei aveva sempre pensato che si potesse discutere liberamente delle proprie idee religiose senza essere considerata una sorta di “freak”. Tuttavia, dopo essersi trasferita a New York, la Kearns afferma di aver scoperto a sue spese che il clima culturale non era poi così diverso: nonostante gli studenti di molte delle più prestigiose università si presume che siano “progressisti” non solo in materia di idee politiche, ma anche di religione e sesso, la giornalista scozzese ha scoperto che è opinione diffusa che proprio la religione è considerata una delle principali responsabili di molti dei problemi che affliggono la società americana, a partire dalla misoginia all’omofobia, fino ad arrivare alle frequenti esplosione di violenza. Addirittura, dopo aver ammesso di andare regolarmente a Messa, la Kearns si è sentita di recente domandare da uno degli studenti di uno di questi atenei se lei fosse “una sostenitrice di Trump”. La situazione che l’autrice di questa piccola inchiesta prova a documentare riguarda atenei prestigiosi quali la NYU, la Columbia, ma anche Yale, Harvard e la Cornell e, in ognuna di queste le è stato detto che fare coming out “cristiano” non solo è pericoloso per la propria reputazione all’interno dell’ateneo, ma pure per quella attinente ai rapporti sociali.
“COSA TI ASPETTAVI DA NEW YORK?”
Tra i vari casi di cui la Kearns è stata testimone diretta oppure si limita a riportare i fatti, si scopre ad esempio che alcuni studenti cristiani sono stati oggetto di prese in giro e “bullismo” verbale dopo essersi dichiarati contrari al sesso pre-matrimoniale. Insomma, gli studenti che si dichiarano apertamente cristiani non hanno molti punti di riferimento e, per evitare di essere oggetto delle suddette burle, hanno come unico appiglio quello del cappellanato del campus universitario, ma nella vita di tutti i giorni sono costretti a mantenere un profilo il più basso possibile sulla proprie fede religiosa. “È questo il vero scopo per cui sono nati questi atenei?” si chiede retoricamente la giornalista scozzese, aggiungendo che tra molti studenti di fede cristiana regna una sorta di rassegnazione, tanto che qualcuno ha provato a risponderle con amarezza che “qui siamo a New York cosa ti aspettavi?”. Ecco spiegato, in conclusione, anche il motivo per cui alcuni preferiscono iscriversi ad università meno prestigiose e rette da istituti religiosi e che l’autrice dell’articolo definisce una sorta di “Benedict Option” per l’educazione superiore di chi vuol dichiarare apertamente la propria religione cristiana.