Il 24 e il 25 ottobre, a Milano, non perdete un doppio appuntamento dedicato a Giampiero Neri. Martedì 24, alle ore 21, nell’Auditorium del Centro Culturale di Milano di Largo Corsia dei Servi 4, si terrà “A Giampiero Neri, per i suoi 90 anni”, una raffinata mise en espace liberamente tratta da Un maestro in ombra (Jaca Book, 2013), il fortunato libro-intervista di Alessandro Rivali. In questa serata, si alterneranno le voci di Laura Piazza, di Alessandro Rivali, e, privilegio in più di questo spettacolo, di Giampiero Neri stesso, che poi, il giorno dopo, mercoledì 25, sarà oggetto di una densa giornata di studi all’Università Cattolica di Milano, nella sede di via Nirone 15. L’iniziativa, “Una macchina per pensare”. Giampiero Neri prima e dopo “Teatro naturale”, organizzata da Giuseppe Langella, direttore del Centro di ricerca “Letteratura e cultura dell’Italia unita”, dell’Università Cattolica, cercherà, attraverso i numerosi interventi, sia nella mattinata che nel pomeriggio, di fare il punto sulla poesia di un maestro sempre più indiscusso del Novecento.
“Tengo i segreti, sono un cuoco geloso”, dichiarava in un’intervista qualche mese fa Giampiero Neri (conversazione con Paolo Di Stefano, “La lettura”, 29 gennaio 2017), a proposito del lavorìo pesante e continuo di ricerca, correzione, rifacimenti, che sta dietro alle sue prose poetiche, apparentemente così limpide e cristalline. “Tante correzioni, ma sono geloso e butto via tutto. È come pretendere da un cuoco le ricette. Il cuoco è il cuoco, fa il suo mestiere, va per tentativi finché trova gli ingredienti giusti. Per me una volta che un testo è fatto è fatto, perché dovrei tenere i documenti degli errori…” (ibid.). E tuttavia, al di là dell’interesse tutto filologico per lo studio delle varianti, che, evidentemente, Giampiero Neri frustra, il convegno di mercoledì 25 ottobre cercherà, se non di farci entrare nel suo laboratorio poetico, di guidarci attraverso la sua poesia, dandoci, attraverso le relazioni di R. Cicala, C. Crocco, R. Deidier, P. Giovannetti, S. Giovannuzzi, D. Marcheschi, C. Mauro, D. Savio, P. Zublena le chiavi di lettura di una produzione in cui la raccolta Teatro Naturale (1998) rappresenta un punto di svolta, un discrimine, un limes, pur in una continuità di temi, che ruotano attorno al problema del Male nella storia, della violenza, necessaria forse, ineliminabile certo. L’ultimo libro di Neri, Via provinciale, è uscito per Garzanti lo scorso gennaio. Ma l’officina poetica di questo autore è sempre in fermento, e, in assoluto anticipo, possiamo presentare tre inediti, che continuano lungo la linea della ricerca poetica, ancora così rara in Italia, della prosa poetica. In essi vediamo dispiegarsi quelle che sono le cifre, strutturali prima che stilistiche, tipiche di Giampiero Neri: la memoria, che disegna scenari precisissimi, vividi e icastici, delineati con somma sobrietà e precisione scientifica nel lessico e nella sintassi; la fascinazione per il nominare, per il nomen, tanto più efficace quanto più esatto e peculiare; l’osservazione della realtà naturale, condotta con quello sguardo affilato e quasi spietato, che viene anche rivolto al mondo degli uomini.
Quella mattina aveva nevicato e sul marciapiede della strada provinciale era rimasta la neve.
Lei camminava davanti a me, sentivo il rumore scricchiolante dei suoi passi sulla neve.
Aveva delle grosse calze fatte a mano, bianche di lana, sulle gambe arrossate dal freddo.
Mi sembrava di vederla per la prima volta, era una mia compagna di scuola.
II
A Marco Rota
Dalla finestra aperta, era Giugno, entrava l’aria profumata del parco dell’ospedale.
Si vedevano le montagne di là dal luogo, e una in particolare si notava.
Mia madre aveva alzato il braccio dalla lettiga e aveva chiesto “Che nome ha quella montagna?”.
“È il monte Barro” aveva risposto l’infermiere.
Sentivo quel nome per la prima volta.
III
La finestra dell’ufficio dava sul giardino di casa Manzoni.
Quella volta un passero stava inseguendo una farfalla, sempre sul punto di afferrarla, ma non era facile.
La farfalla volava con quella sventatezza di chi non sa dove andare, tipica della sua specie, farfalleggiava, e il passero dietro.
La scena si era protratta non poco finché, come per caso, era finita.