Mentre ricorre il centenario della rivoluzione russa, ricordata l’altro ieri anche in Senato dall’onorevole operaista Mario Tronti, a Cagliari si aprono le “Settimane sociali dei cattolici”. Anche qui c’è un anniversario, perché le prime “Settimane” si svolsero nel 1907. Le ispirava l’economista cattolico Giuseppe Toniolo, che più di tutti, scrive Gabriele De Rosa, “visse il dramma dell’intransigenza cattolica … a confronto con i nuovi compiti economici e sociali di uno Stato moderno”. Sul sito web delle “Settimane” un video, un po’ polveroso, come il nome ottocentesco del convegno, ne illustra la storia. Interrotte prima dal fascismo e poi negli anni settanta dalla stanchezza dei cristiani (questo il video non lo dice), rinacquero negli anni ottanta grazie al cardinale Poletti. 



Il tema scelto oggi è: “Il lavoro che vogliamo: libero, creativo, partecipativo e solidale”. Porterà un contributo anche Paolo Gentiloni. Il premier respirerà aria di casa, essendo parente di quel conte Ottorino Gentiloni, protagonista del rientro dei cattolici nell’agone elettorale del 1913 (i firmatari del patto non furono Gentiloni e Giolitti, ma i comitati elettorali dei cattolici e dei liberali conservatori). 



Intanto merita attenzione il messaggio rivolto ai partecipanti da papa Francesco. E’ un accorato appello per la dignità del lavoro e del lavoratore. Alcuni media sottolineano in particolare la condanna del papa verso gli appalti condotti dalle pubbliche amministrazioni con il metodo del massimo ribasso. Ed è vero che, oltre ad essere stato breccia per infiltrazioni malavitose, il massimo ribasso sovente produce sfruttamento dei lavoratori e scarsa qualità dell’opera. La paura della corruzione in Italia ha prodotto pratiche autolesionistiche, che oltre a non eliminare il male, hanno depresso l’iniziativa economica. 



Ma nelle parole del papa c’è un altro passaggio interessante. Egli ricorda come lo stesso Gesù sia stato un lavoratore. Poi aggiunge: “Ma c’è di più. Il Signore chiama mentre si lavora, come è avvenuto per i pescatori…”. Non deve sfuggire l’importanza della notazione. E’ il richiamo ad una fede incarnata, da vivere nel cuore delle giornate. Non un orpello da dopolavoro, o da tempo libero. A proposito, occorrerebbe aggiornare anche qui i termini. La dottrina sociale della Chiesa, si vedano ad esempio i testi del cardinale Höffner, ha pagine acute sul concetto di tempo libero. Esso non può essere tempo dell’ozio, per le scorribande delle industrie dell’evasione. Nel passato il tempo del lavoro era duro, ma mitigato dai molti tempi della festa. Oggi il lavoro è migliore per molti, ma non per tutti. Non dovrebbe più avere senso opporre lavoro e tempo libero, quasi rassegnati a vivere da servi il primo. La questione sarebbe capire cosa ci può far liberi nell’uno e nell’altro. Quelli della rivoluzione russa, caro Tronti, non ce l’hanno fatta. 

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