SAN FRANCESCO D’ASSISI. Frate Francesco è stato a lungo malato e non ha rifiutato le cure che il suo tempo poteva offrigli. Anzi, negli ultimi anni di vita, egli aveva obbedito ai suoi superiori che lo sottoposero a terapie dolorose, soprattutto per la cauterizzazione degli occhi.

Mentre un giorno se ne stava a Rieti e soffriva in modo particolarmente intenso, chiese a un confratello “ex-musicista” di andare in città per prendere in prestito una cetra, dicendogli: “Il mio corpo è afflitto da una grande infermità e sofferenza; così, per mezzo della cetra bramerei alleviare il dolore fisico per trasformarlo in letizia e consolazione” (Compilatio Assisiensi, 66). Il frate non gli rese però questo servizio perché si vergognava: temeva, infatti, che la gente, riconosciutolo, pensasse che stesse tornando alla vita di prima, tradendo la sua scelta religiosa. E così – prosegue la Cronaca – il Signore stesso mandò un canto angelico per consolare Francesco.



Il moralismo del timoroso frate contrasta davvero con la spontanea richiesta del santo e ci conferma quanto gli scrupoli etici rivelino una sfiducia nella Grazia e siano un vero pericolo per il configurarsi di un umanesimo cristiano.

 Molti santi medievali lo avevano capito: basti qui ricordare l’amore per il canto di Ildegarda che faceva recitare e cantare le sue monache vestite da  principesse mentre un’altra badessa “bacchettona” la rimproverava, travestendo le sue preoccupazioni moralistiche con un’esortazione pauperistica. Sembra di assistere ancora all’episodio evangelico del vaso d’alabastro con l’unguento versato sui capelli di Gesù, mentre Giuda esprime la sua disapprovazione…



Francesco d’Assisi era invece un uomo libero e dimostrò fiducia nella positività della vita fino alla fine, come testimonia una delle più belle lettere da lui dettate, pochi giorni prima di quel 4 ottobre 1226, giorno della sua rinascita in cielo: “A donna Jacopa, serva dell’Altissimo, frate Francesco, poverello di Cristo, augura salute nel Signore e comunione nello Spirito Santo. Sappi, carissima, che il Signore benedetto mi ha fatto la grazia di rivelarmi che è ormai prossima la fine della mia vita. Perciò, se vuoi trovarmi ancora vivo, appena ricevuta questa lettera, affrettati a venire a santa Maria degli Angeli. Poiché se giungerai più tardi di sabato, non mi potrai vedere vivo. E porta con te un panno di colore cenerino per avvolgere il mio corpo e i ceri per la sepoltura. Ti prego anche di portarmi quei dolci, che tu eri solita darmi quando mi trovavo malato a Roma“.



È un segno di predilezione e di familiarità intima quello di decidere chi avrà cura del proprio corpo dopo la morte. E Francesco sceglie una donna per questo compito. 

Jacopa arriverà in tempo alla Porziuncola, in quei primi giorni di ottobre del 1226, e avvolgerà il corpo del suo amico, dopo averlo abbracciato, proprio come fece la Maddalena con Cristo.

Con la breve lettera di Francesco a donna Jacopa dei Settesogli non siamo di fronte a un testo costruito secondo preoccupazioni ascetico-agiografiche: lo dimostra il tocco finale della missiva con il riferimento così autentico ai biscotti, che un’altra fonte francescana (sempre la Compilatio Assisiensis) spiegherà essere quel dolce che i Romani chiamano ‘mostaccioli’ e che viene fatto con mandorle, zucchero, miele e altri ingredienti.

Francesco si intendeva di cose belle e buone: lo aveva dichiarato anche nel Cantico di frate Sole, in cui lodava l’Altissimo attraverso le sue creature, comprese le “clarite stelle” che forse gli ricordavano gli occhi di Chiara e altre cose buone che forse gli ricordavano l’amicizia di Jacopa.

Non la paura della morte ma l’amore per la vita costituisce il più convincente suggerimento che l’esperienza cristiana sia interessante. 

I santi lo dimostrano. I moralisti no.

Maria Teresa Brolis è autrice de “Storie di donne nel Medioevo” (Il Mulino, 2017) che sarà presentato il 10 ottobre a Roma presso la Fondazione Marco Besso, L.go di Torre Argentina, 11 alle ore 17 e il 14 novembre a Milano con Franco Cardini nella Libreria Cento Fiori, P.le Dateo, 5 alle ore 18.30.