Quando si è ospiti a Soul — uno dei programmi più nobili e irriverenti di Tv2000 — l’evidenza è manifesta: il gusto di quel discorrere abita nelle domande della conduttrice, Monica Mondo. Che, domande-scavatore quali sono, fanno sbocciare l’onda-lunga delle risposte dei suoi ospiti. E’ storia del giornalismo: ad una domanda posta male, risposta-sbagliata. Quando la domanda è intelligente — un agguato di sorpresa —, il contenuto è già vestito a festa. La provocazione di Monica Mondo è cultura: lasciarsi intervistare da lei, un lasciarsi ferire, dalle sue domande è fare esperienza di Chiesa, allargata fino quasi allo strappo. Maestra nel far domande, stavolta gioca d’anticipo: con Io, cristiana. Per amore e per ragione (San Paolo, 2017) Monica apre la porta di casa sulla sua avventura di donna, di credente. Di sposa, madre, giornalista. E’ la storia di un’anima, dentro una Chiesa di strada: “In un giorno feriale, alle sette di sera, zona periferia. Quattro donne anziane, tre suore cantilenano un rosario, a bassa voce. Ora, qui e sole, ci credono davvero?”. Lo stupore nell’apparente ovvietà del feriale.
“Ti adoro”: inizia così. La frase che ci hanno insegnato come buongiorno e buonanotte. Adorare Dio perché? Per avermi “fatto cristiano”. Fare è un chiaro verbo-manovale: progettazione, esecuzione, rifinitura. Cura. Fatto-cristiano: “Mi hai immaginato, poi mi hai fatto”. Chi ha fatto tutto questo? “Non so. Dio. Forse Dio”. Monica sceglie la seconda, Dio: “Ci vuole un Tu cui star di fronte, pur con rabbia, impossibile da dimenticare”. E, da quella postazione, leggere e narrare il mondo di quaggiù. Scrutando nel volto, senza fare sconti al tempo che passa, i grandi tratti dell’avventura credente: l’educazione, il contesto, il silenzio di Dio, la libertà, la felicità. L’intelligenza. Il cristianesimo come stile: “La comunità dei credenti è una questione di affezione, di attrazione”. Perché la fede non uccide l’intelligenza, ma la tiene in vita. Custodendo l’affettività ed esaltando l’umano.
Ecco il “Credo la Chiesa”, la seconda parte del suo riflettere. Una Chiesa di periferia: “Il prete indiano che s’inchina all’altare e legge così male il Vangelo. E quelle signore con le buste in plastica dell’ultima spesa, in ciabatte, che faticano ad inginocchiarsi”. Una scena inutile: storia sfiancata, strada slabbrata, senza più mordente. Eppure è una, santa, cattolica, apostolica: “Quest’umanità così inutile e così fedele, cosciente o no di essere stata scelta per l’opera di Dio, per dargli gloria tra queste mura brutte — fossero anche gli ultimi cristiani sulla terra — respira la Chiesa una santa universale e missionaria”. Nessuna tonaca, via le berrette rosse per pensare, intellettualmente-onesti. A lei: “Duemila anni di Chiesa sono nati sulle pietre sfregate da ginocchia come queste, illuminati da candele accese come queste, segnati da preghiere più o meno consapevoli, più o meno credute”. Staziona qui — sul crinale di questi aggettivi incastonati come diamanti su mani gonfie dall’usura, dai peccati — la bellezza della Chiesa.
Per Monica Mondo — avverto d’esserle fratello in quest’appartenenza tormentata — la Chiesa è bella, genera bellezza. Oltre, di più: “Ha reso bello ciò che bello non era: la croce, il volto di Cristo martoriato, la Pietà”. A casa di Dio, la mancanza è bellezza: “Che sia forse un segno, la traccia di una completezza che qui e ora non possiamo raggiungere?” Pagine che si leggono d’un fiato, forse in apnea.
Scoprendo d’essere letti: parlano di me, della mia inquietudine, del mio perpetuo professarmi di Lui. Parole che tradiscono appartenenze mai rinnegate: la mancanza, l’eredità, l’intelligenza, l’affetto. Con nomi e cognomi lì dietro: Luzi, Goethe, don Giussani, Benedetto XVI, Francesco. Nomi-fedeltà ad una Chiesa narrante un Dio sempre pellegrino: “Non ci fa gran problema ammettere la sua esistenza, finché resta un’idea”. Ammettere l’esistenza è poco, per Monica: voler-bene a Dio è molto di più che credere all’esistenza. Il voler-bene a Dio, “nella sua Chiesa”. Il complemento di stato-in-luogo che vale l’intera lettura.