“Ha scoperto l’abisso sotto il nostro illusorio senso di connessione con il mondo”. E’ questa la motivazione con la quale l’Accademia di Svezia ha assegnato il Nobel per la letteratura a Kazuo Ishiguro (1954), scrittore di origine giapponese naturalizzato britannico. Ishiguro scrive in inglese, non in giapponese; ma l’origine non si cancella, assicura Francesco Sisci, sinologo, editorialista di Asia Times. Ed è questo sguardo a spiegare il suo successo. “Questo Nobel premia l’opera di Ishiguro — spiega Sisci — ma se allarghiamo lo sguardo, abbraccia un nuovo meticciato che riguarda diversi esponenti della cultura asiatica. Ad inaugurare la tendenza fu Salman Rushdie. Lo stesso vale oggi per Ishiguro”.



Perché secondo lei?

Ishiguro scrive in inglese e di cose inglesi, ma la sensibilità è orientale. Lo stesso si può dire del giallista cinese Qiu Xiaolong, che scrive in inglese e vive negli Stati Uniti. Sono uomini dell’Asia che si immergono nella cultura occidentale e la raccontano. L’effetto è affascinante perché la narrazione ci mette di fronte a un mondo che conosciamo, ma lo sguardo e la sensibilità che contiene sono nuovi per noi.



Come si spiega questo fatto? Può esemplificarlo?

Anche nel caos c’è ordine, intelligibilità. In Ishiguro c’è un’empatia per le cose che è tipicamente giapponese e viene dallo zen. Quel che resta del giorno ad esempio ci piace perché ha dato sangue e carne a una figura che non esisteva per noi al modo in cui ce l’ha raccontata Ishiguro.

Il maggiordomo inglese Mr. Stevens e la governante Miss Kenton sono figure giapponesi?

A loro modo sì, pur essendo perfettamente europee e come tali a noi riconoscibili. Però affascinano perché entrano a pieno titolo nella grande storia, quella dei potenti che decidono. Poi la grande storia va da un’altra parte, e la loro storia si rivela perfino più importante. Tutto è dettaglio: anche le cose sentono, anche le pietre di un giardino sentono.



Il meticciato che lei descrive esiste da tempo. Uno scrittore italoamericano lo si riconosce subito. 

Ma quello è un meticciato prettamente occidentale. Nel nostro caso la novità profonda è la conferma e lo sviluppo di una commistione affascinante tra oriente e occidente. La cosa è reciproca: Kung Fu Panda (film d’animazione di Mark Osborne e John Stevenson del 2008, ndr) nasce a Hollywood eppure in Cina ha trionfato. Altri film di produzione cinese sono meno cinesi di quello.

Questo “incontro” non può essere solo un prodotto di laboratorio?

No perché altrimenti non funzionerebbe. I lettori o gli spettatori mangerebbero subito la foglia.

Un giapponese deve diventare britannico per vincere il Nobel?

No. Kenzaburo Oe lo ha vinto nel ’94 rimanendo giapponese. Moderno, Oe si protende verso occidente, mentre Ishiguro è già meticcio. Il fumettista Igort (pseudonimo di Igor Tuveri, ndr) è sardo ma ha avuto grande successo in Giappone con la graphic novel Quaderni giapponesi.

Tutto questo che cosa significa?

Che ci si conosce meglio dall’esterno. Occorre qualcuno che ci racconti a noi stessi.

(Federico Ferraù)