In questi giorni, il 18 novembre, ricorre il decimo anniversario della beatificazione di Antonio Rosmini (Rovereto 1797-Stresa 1855), uno dei principali intellettuali italiani dell’800, cattolico liberale e fondatore di una congregazione religiosa, pensatore del Risorgimento e ispiratore di una riforma della Chiesa anticipatrice del Concilio Vaticano II. Che questa ricorrenza stia passando quasi inosservata, corrisponde alla scarsa notorietà del suo pensiero, che però proprio oggi, specialmente nel campo politico-sociale, potrebbe essere di grande ispirazione. 



Al contrario, nel mondo politico-economico italiano di fine 800 era ancora ben diffusa la consapevolezza dell’importanza del pensiero rosminiano per il rinnovamento della società civile. Secondo Giuseppe Toniolo, per Rosmini, che è uno dei “nostri celebri filosofi e scrittori di cose civili in genere”, “la civiltà rimaneva essenzialmente spirituale, ma la prosperità economica figlia dell’operosità meritoria diveniva doverosa e nobile, in quanto a quella conduce”. E il grande economista e politico Fedele Lampertico attestava che “Rosmini aveva sul pensiero in Italia un effetto benefico non meno ampio di Aristotele o Kant”. 



Contro il rischio di ridurre l’uomo nella dinamica economica soltanto al consumatore, in ricerca di una felicità “materiale”, Rosmini proponeva una riflessione politico-economica incentrata sull’unità armonica della natura umana per cui l’economia deve sempre essere considerata in vista dell’appagamento della persona. È quindi in cerca di una nuova comprensione del liberalismo moderno che per lui è “un sistema di diritto e insieme di politica, il quale assicura a tutti il prezioso tesoro di loro giuridiche libertà”. 

Da un lato, egli ritiene certamente la concorrenza una dinamica sociale positiva in quanto contribuisce al perfezionamento e all’avanzamento della persona attraverso la coltivazione delle sue capacità. Dall’altro lato, però, e proprio per questo, tale concorrenza non deve ledere i diritti fondamentali e cioè il rispetto della persona umana. Rosmini ragiona quindi sulla “giustizia che precede al diritto di concorrenza”, per evitare che il significato di concorrenza si perda, come egli dice, in “molti noiosi sofismi”.



Un’idea molto simile sul giusto equilibrio tra concorrenza e solidarietà sarebbe stata elaborata in Germania un secolo dopo sotto il titolo di “Economia sociale di mercato”: precisamente in un momento in cui la condanna del pensiero rosminiano da parte della Chiesa, avvenuta nel 1888, è riuscita a far tacere le voci di un Toniolo o un Lampertico. Così, la piena riabilitazione del suo pensiero nel 2001, insieme alla beatificazione avvenuta dieci anni fa, non sono infatti nient’altro che una tarda approvazione ecclesiastica della grande sintesi che Rosmini ha elaborato tra la visione cristiana dell’uomo e della società, da un lato, e un ordinamento politico liberale, dall’altro. Sintesi che nel XX secolo è stata proposta da Luigi Sturzo, il quale, infatti, nonostante la condanna, si è ispirato al pensiero rosminiano; oppure da Wilhelm Röpke, che presenta una riflessione di straordinaria somiglianza a Rosmini quando afferma: “il liberalismo non è nella sua essenza abbandono del cristianesimo, bensì il suo legittimo figlio spirituale”.

Come Sturzo e Röpke poi, così già Rosmini aveva riflettuto profondamente sulla dinamica problematica del mercato e dei sistemi moderni che lui chiamava “astratti” (prevedendo del resto una tendenza sempre più forte verso un mondo “virtuale”): essi non sono “produttori” di morale che al contrario “consumano”, come avrebbe detto poi Röpke. E proprio per questo motivo, il Roveretano teorizzava nella sua Filosofia della politica un “giusto equilibrio” tra la logica delle masse e l’intelligenza degli individui. 

Lungi da condannare la prima, e quindi riconoscendo pienamente le dinamiche della società moderna, sottolineava però l’urgenza di coltivare la seconda, tramite filosofia, religione, educazione. La prospettiva rosminiana pone così una grande fiducia nell’individuo: è scettica nei confronti della pretesa di quei programmi governativi che Rosmini chiama “perfettisti” in quanto pretendono di poter migliorare l’uomo con mezzi politici. Contro tale deresponsabilizzazione dell’individuo nelle utopie politiche moderne, Rosmini fu tra i più grandi fautori di un’unità italiana federale e sussidiaria, sulla base del principio costituzionalistico. Ma già nel 1849 vide la messa all’indice delle sue due opere principali di riforma della società e della Chiesa, ossia La costituzione secondo la giustizia sociale, e Le cinque piaghe della Santa Chiesa.

Un amico non ha però mai lasciato Rosmini, filosofo della giustizia sociale e teologo della provvidenza: Alessandro Manzoni. Egli conobbe Rosmini nel 1826 a Milano e nel 1855 lo troviamo sul suo letto di morte. “Duplice vertice sublime di unica fiamma”, così Fogazzaro definì l’importanza della loro amicizia per la cultura italiana. Riscoprire Rosmini oggi, per ricompletare tale quadro, sembra pertanto un compito tanto affascinante quanto necessario.