A cinquant’anni dalla morte di Adrienne von Speyr si è svolto in Vaticano un simposio a cura di Lucetta Scaraffia e Jacques Servais sj: “A Woman in the Heart of the Twentieth Century: Adrienne von Speyr (1902-1967)”. 

Hans Urs von Balthasar (1905-1988) scrisse in un libro del 1984, Il nostro compito, pensato come testamento per la Comunità di san Giovanni, fondata da entrambi, che il suo lavoro e quello di Adrienne “non devono essere separati né psicologicamente né filologicamente”. Si tratta insomma di una missione comune, simile a quelle che possiamo incontrare nella storia della Chiesa: Scolastica e Benedetto, Chiara e Francesco, Teresa d’Avila e Giovanni della Croce, Faustina e Giovanni Paolo II. 



In cosa consiste quella di Adrienne e Hans Urs? Testimoniare, in primo luogo con la fondazione della Comunità di san Giovanni, che la cattolicità della Chiesa consiste “nel desiderio incondizionato di ciò che Dio vuole per la sua Chiesa” (Jacques Servais). Un membro della comunità che lavora come insegnante in un liceo a Monaco di Baviera ha spiegato, nel secondo giorno del simposio, come Adrienne abbia accompagnato la comunità fondata certo anche con commenti teologici alla Sacra Scrittura, per esempio al Vangelo di San Marco, ma soprattutto insegnando a vivere la quotidianità ricolmi di questo desiderio di ciò che Dio vuole da noi. Vivian Dudro, madre di quattro figli ed editrice nella Ignatius Press a San Francisco, ha fatto vedere come gli scritti di Adrienne abbiano aiutato un gruppo di madri a vivere il loro quotidiano, anche e in modo particolare in momenti di crisi.  



Forse tra le cose più impressionanti del simposio è stata la presenza tra i relatori e il pubblico, limitato a 70 persone per motivi di spazio, di gente di tutte le generazioni e stati di vita e di lavoro, da molte parti del mondo (Usa, Messico, Canada, Austria, Italia, ma anche Africa e Asia). Un esperto di economia di Vienna, Joachim Honeck, ha tenuto una conferenza “sull’impegno di Dio per il mondo”, riassumendo i temi di Adrienne in cinque punti: santità (come trasparenza alla volontà d’amore di Dio), obbedienza (nel senso dell’obbedienza di Cristo al Padre), confessione (come stato permanente davanti a Dio nella comunione dei santi e dei peccatori), stato di vita (nel senso che l’amore gratuito di Dio ci chiede l’assenso ad un particolare modo di dire di sì a questo amore: nel matrimonio o nella vita dei consigli evangelici) ed infine discernimento degli spiriti (per comprendere in modo personale la volontà di Dio, in primis nella vita quotidiana). 



Tra gli altri, vorrei soffermarmi sull’intervento che mi ha colpito in modo particolare, quello di Lucetta Scaraffia, che ha saputo esprimere un’intuizione propria di questi quattro anni di pontificato. Un pontificato come quello di Papa Francesco non sarebbe mai esistito senza il contributo di alcuni grandi teologi del ventesimo secolo come Romano Guardini, Henri de Lubac, Hans Urs von Balthasar (per quanto riguarda l’Europa) o Lucio Gera e  Alberto Methol Ferré (per quanto riguarda l’America Latina). Adrienne è stata in primo luogo una donna e un medico, per l’appunto nel cuore del ventesimo secolo. Non era un’esperta di teologia, ma ha saputo esprimere in modo esistenziale e teologico ciò cui i teologi e i filosofi citati hanno dato forma nel loro pensiero. In questo senso Adrienne è un “tassello”, tra i più importanti nel mosaico della teologia del secolo scorso. 

Massimo Borghesi, in un libro appena uscito sul papa (Jorge Mario Bergoglio. Una biografia intellettuale), ha mostrato come la vita intellettuale di Francesco, e ancor più la sua missione ecclesiale, affonda nel mistero della “polarità” (uomo e donna, missione universale e personale, etc.), che il futuro papa aveva imparato da gesuiti come padre Fessard e de Lubac, Guardini e Balthasar. 

Il pensiero di Adrienne von Speyr, come spiega molto bene Scaraffia, non nasce da un sistema rassicurante, ma appunto da una polarità vissuta, quella tra uomo e donna ed infine quella tra Sabato Santo e Domenica di Risurrezione: l’Amore gratis di Dio risorge dopo aver confessato sulla croce tutto il peccato del mondo, ed essere disceso nel luogo della mostruosità di questo peccato, per l’appunto l’inferno.

Le letture di Adrienne, ha sottolineato Scaraffia, non erano libri di teologia, piuttosto di autori che le permettevano di comprendere lo spirito del mondo (tra cui Colette, Sartre, De Beauvoir, Camus, Peyrefitte). Per quanto riguarda la teologia le bastava il rapporto vissuto con Balthasar e l’approfondimento del Vangelo (in vero di tutta la Bibbia, che meditava e commentava leggendola nella sua edizione protestante, come ha spesso sottolineato la Scaraffia) al cospetto e a volte dentro il fuoco del Dio sempre più grande, in cui lei con coraggio inaudito si è buttata “a mani nude, e senza protezione” (Scaraffia). 

Con questo metodo Adrienne ci porta nel cuore ultimo della Rivelazione che è amore gratis ed evita ogni spiritualismo e/o tradizionalismo astratto. Allo scoppiare della guerra mondiale e dei disastri nazionalsocialisti e stalinisti, ella si trova al fronte, non solo con la sua anima, ma con il suo corpo (in forza di esperienze mistiche e di preghiera) ed esperimenta con tutta se stessa un’altra polarità, quella tra il male nelle sue dimensioni soggettive e in quelle oggettive di “mostruosità”. Questo coraggio non nasce da alcuna forma di tradizionalismo rassicurante. Scaraffia ha citata una bellissima frase di Adrienne: “Dio cerca sempre delle persone che, nei momenti decisivi, non abbiano paura”. 

In un certo senso in Adrienne abbiamo un “femminismo sostanziale” (Scaraffia) che non si perde nelle denunce (anche quelle intraecclesiali), ma che accetta di essere con coraggio quello che è e di cui la Chiesa ha bisogno in modo radicale: non la donna sottomessa (l’obbedienza non è sottomissione, ma disponibilità libera a fare la volontà di Dio), ma coraggiosamente testimoniante che solo un “atteggiamento di confessione” permetterà alla Chiesa di uscire dalle paludi della pedofilia e della corruzione, vissute da alcuni (molti?) suoi membri. Lo dico per sottolineare, anche in questo in accordo con Scaraffia, che il servizio peggiore che possiamo fare ad Adrienne è di leggerla senza quella dimensione di “storicità” che le è propria e riducendola ad un pensiero autoreferenziale, cioè comprensibile solamente da esperti di teologia. 

Nella relazione finale Scaraffia, con coraggio, ha detto che Adrienne non è grande sebbene sia stata protestane, sebbene sia donna, sebbene sia stata sposata per ben due volte, ma proprio in questa sua vita come medico, sposa, convertita, eccetera. 

Il cardinal Marc Ouellet, presente nel pomeriggio del sabato, in un suo breve intervento “straordinario” (e non solo nel senso di non facente parte del programma) ha testimoniato che leggendo e meditando il grande commento in quattro volumi del Vangelo di San Giovanni di Adrienne, non si è tanto confrontati con idee su Dio, ma con il senso e il sapore di Dio — amore gratuito che si comunica con un’epistemologia teologica personale e quindi per l’appunto da persona a persona, con l’intento di farci comprendere cosa dice Dio, a noi, ora.