Questo sabato è stato presentato il libro Si apriva il balcone sull’amata Parigi (Poiesis editrice 2017) alla presenza dell’autrice, Margherita Pieracci Harwell, accompagnata dalla filosofa Roberta De Monticelli e dal suo editore Giuseppe Goffredo, presso la libreria Utopia di Milano. L’incontro era dedicato all’amicizia tra l’autrice e la madre della filosofa Simone Weil, che fiorì dal loro incontro nel 1958 fino alla scomparsa di Selma Weil nel 1965. Il libro, denso di particolari su di un’epoca e i suoi personaggi così come emergono dall’intreccio delle lettere di Selma Weil con il diario dell’autrice e le sue spiegazioni, sorge dal desiderio di “mettere in salvo una traccia” di questo mondo prima che venga dimenticato. Nel leggere quest’opera colpisce la profonda tenerezza nelle lettere di Selma verso l’autrice a contrastare i problemi che incontrava con la famiglia del figlio, seppure appena accennati. Quasi a ricordarci che quello che la vita ci toglie da una parte, spesso ci viene dato poi da un’altra, se sappiamo essere aperti e ricettivi. 



Alcuni amano Simone Weil per il suo coraggio, allineato con il suo rigore di pensiero, nell’aver vissuto fino in fondo quello in cui credeva. Altri invece non le perdonano la sua fase mistica e quel suo approccio “dolorifico” alla vita, seppure sia vissuta in un’epoca travagliata. L’incontro ha dato l’opportunità di avere l’interpretazione dell’autrice su un aspetto alquanto discusso: il suo lasciarsi morire poiché non accettava di mangiare più della razione avuta dai suoi connazionali in Francia. Quello che per noi appare come un rifiuto alla vita, viene spiegato come un estremo sentire, un immedesimarsi nelle condizioni altrui, che oggi abbiamo perso. La filosofa era rimasta molto colpita dai libri di Ignazio Silone e lui stesso avevo scritto di un contadino ricoverato e deperito per avere rifiutato il cibo offertogli, in quanto sua moglie non ne avrebbe potuto mangiare. 



Durante l’incontro è stato domandato all’autrice cos’aveva riscontrato della madre nella figlia e della figlia nella madre, pur non avendo conosciuto lei Simone di persona, ma soltanto attraverso i suoi scritti. La sua risposta è stata chiara: la figlia aveva preso dalla madre l’attenzione (“è la forma più rara e più pura della generosità” scriveva Simone) e il senso della giustizia sociale, un tema ricorrente nella famiglia (suo padre medico curava i poveri gratis). E la madre, definita una voltairiana, in maniera ovviamente semplificata, si era forse aperta a un’idea di trascendenza attraverso questa sua opera di compilazione degli scritti della figlia scomparsa. 



A questa risposta Margherita Pieracci Harwell è arrivata attraverso un deambulare narrativo al quale per certi aspetti non siamo più abituati. A momenti sorgeva la sensazione che la domanda si fosse persa, ma con polso ferma l’autrice conduceva il pubblico alla meta in questo suo modo tranquillo di lasciare emergere i pensieri e le azioni in un mondo che va sempre troppo rapido. Come Roberta De Monticelli aveva sottolineato poco prima: nei media una risposta deve essere data all’interno di trenta secondi. 

Questo modo di essere dell’autrice ha trovato espressione anche in altri momenti della serata. Alla fine dell’evento si è trattenuta per ringraziare il libraio per avere aspettato, senza porre fretta alcuna agli organizzatori dell’incontro, terminato alle otto e mezza invece che alle otto. All’uscita dal ristorante, quando gli altri commensali se ne erano già andati, Pieracci Harwell si è fermata una volta ancora per lasciare un’ulteriore mancia: piccoli grandi atti di attenzione e sensibilità sociale. In fondo se Selma Weil aveva mostrato verso di lei un amore praticamente materno, una buona ragione certamente vi era.