Più che piangere per la mancata assegnazione di Ema a Milano conviene sorridere per lo straordinaria conferma del fenomeno di Bookcity. Per chi milanese non è, va spiegato che Bookcity è una specie di fiera diffusa in cui per tre giorni in tutta la città si presentano e si parla di libri. Per avere un’idea delle dimensioni del fenomeno, quest’anno ci sono stati 1.100 incontri, che hanno coinvolto 2mila ospiti e hanno attirato un pubblico record di 175mila persone (Bookcity 2017 si è tenuto nello scorso weekend). La formula è stata inventata nel 2012 da Stefano Boeri, allora assessore alla Cultura, mutuando il modello di successo del Fuorisalone, la settimana del design che ogni anno ad aprile “occupa” tante zone della città. Ma a differenza del design, che attira un pubblico globale, la tre giorni dedicata ai libri è qualcosa pensato per la città e vissuto dalla città. 



Anche la governance della manifestazione è interessante: promossa dall’assessorato alla Cultura (ora retto da Filippo Del Corno), è affidata per tutti gli aspetti organizzativi ad un’associazione che raccoglie i maggiori editori milanesi, ma si allarga alla collaborazione di tanti altri soggetti produttivi e sociali. 



Bookcity è soprattutto un’idea aperta, nel senso che ogni realtà può avanzare le sue proposte ed entrare nel gigantesco cartellone. È anche un’idea larga: è stata allargata alle scuole (alle quali è dedicata la prima giornata) e si è allargata quest’anno con molta spontaneità alle periferie. È un’idea contagiosa, come conferma il fatto assolutamente controtendenza che in occasione dell’edizione di quest’anno siano state inaugurate due nuove librerie in zone di frontiera: per l’apertura di quella in via Padova si sono date appuntamento centinaia di persone. L’avvio della libreria è stata resa possibile anche grazie al successo di un crowdfunding, il che conferma quanto la sua nascita sia stata voluta e partecipata. Fenomeni che non sono isolati se è vero che a Milano sta crescendo l’esperienza delle biblioteche di condominio: ad oggi sono nove e stanno raccogliendo lettori e consenso.  



Bookcity fa leva su un’eccellenza della città, cioè l’industria editoriale, grazie alla quale è arrivato anche un recente riconoscimento a Milano da parte dell’Unesco. Bookcity soprattutto esprime un’attesa e un desiderio che salgono dal basso: il desiderio non solo di conoscere ma anche di far conoscere. È qualcosa di diverso dal modello dei festival culturali che negli ultimi anni stanno incontrando tanto successo nelle città di provincia italiane. Se quello è un modello concentrato su pochi eventi con personaggi di sicura capacità attrattiva, qui il palinsesto è molto più libero e fluido, svincolato dall’obbligo di avere sul palco una star. A Bookcity è stato messo anche nel conto che qualche appuntamento veda solo un pugno di presenti: ma il bello e l’importante è che chi lo ha voluto lo possa comunque fare, rispettando l’idea che si può stare dalla parte del pubblico, ma si possa anche essere nei panni di promotori.

Un ultimo pensiero: Bookcity probabilmente è prima un sintomo che un fenomeno. Sintomo di una città che negli ultimi anni ha ricominciato a “volersi bene”; una città che ha riscoperto il valore e anche la bellezza della coscienza civica (c’è una data precisa di questa riscoperta: 1° maggio 2015, quando, dopo le manifestazioni contro Expo che avevano devastato tante zone della città, in tantissimi, con Giuliano Pisapia in testa, erano scesi spontaneamente nelle strade per pulire e rimettere ordine). È proprio questa coscienza civica che aveva “fame” di libri in quanto strumenti per capire, come opportunità di nuovi incontri, come esercizi di creatività, come proiezioni sul mondo che verrà. Bookcity non ha fatto altro che assecondare con intelligenza questa fame.