C’è un “genio della donna nella Chiesa e nella società” da (ri)scoprire e (ri)conoscere. Lo ha detto e scritto Massimo Camisasca, vescovo di Reggio Emilia e Guastalla, nel suo “discorso alla Città nella Solennità del patrono San Prospero”, caduta venerdì scorso, alla vigilia della Giornata internazionale indetta dall’Onu contro la violenza sulle donne. Una riflessione, quella del fondatore della Fraternità Sacerdotale San Carlo Borromeo, subito radicata nel magistero di Papa Francesco — “Se la Chiesa perde le donne rischia la sterilità” — e altrettanto rapidamente indirizzata sul fronte dell’umana quotidianità.
“Il mondo del lavoro — sottolinea Camisasca già alla ventesima riga — non ha avuto e non sembra avere molto rispetto per le donne e la funzione materna. La donna deve confrontarsi con un’impostazione ancora improntata a codici maschili”. Non per questo le donne appaiono remissive: “Nonostante la crisi economica, la maggior precarietà lavorativa rispetto agli uomini e la mancanza di una cultura della flessibilità che determina una complessa conciliazione fra i tempi di vita, le donne non sembrano giustamente rinunciare né alla dimensione familiare né a quella lavorativa”. Anche se è “una fatica”, anche se è sotto gli occhi di tutti “una contrazione della dimensione procreativa o una rinuncia all’impegno lavorativo extradomestico”.
Sul “doppio sì” che molte donne continuano a pronunciare e praticare ogni giorno, la società e la cultura restano in ritardo: “Un passaggio complesso e non certo giunto a completezza è anche il frutto, non privo di ambivalenze e contraddizioni, della riflessione sollecitata a partire dagli anni Settanta del secolo scorso, dal movimento femminista, ed approfondita recentemente da alcune teoriche del femminismo più avveduto”.
La sfida però è apertissima, “interroga tutta la società fino a mettere in questione l’assetto del mercato del lavoro e del welfare”, non escluso “il mancato riconoscimento del lavoro domestico e della cura femminile sotto il profilo sociale ed economico”. Ma le donne continuano ad apparire in credito anche verso la società politica. “Per le istituzioni politiche modernizzanti, il complesso di diritti-doveri non deve avere distinzioni fra uomo e donna”, osserva Camisasca. Il sistema politico ha inteso farsi “grande alleato delle donne mediante il welfare state”, si è rivelato poi per certi aspetti “una trappola per le donne stesse”, relegate a un ruolo di “assistite” piuttosto che di “protagoniste”, di titolari di una speciale “cittadinanza sociale”.
“I dati Istat mettono in luce come la violenza veda spesso come protagonista il partner o l’ex partner”, annota il Discorso, che segnala “la gravità del fenomeno” assieme a lievi segni di miglioramento, forse riconducibili alla maggior consapevolezza acquisita dalle donne, più propense a parlare della propria vicenda e a denunciarla”.
Sull’ambito “familiare e generativo”, Camisasca rileva che il numero medio di figlio per donna (1,36 figli nel 2016 in Italia) è nettamente inferiore al tasso di semplice sostituzione demografica e denota “una una scelta di carattere culturale che mette in luce la difficoltà di instaurare una relazione con gli altri”. Poi lascia parlare Papa Francesco: “Occorre raccogliere la sfida posta dall’intimidazione esercitata nei confronti della generazione della vita umana, quasi fosse una mortificazione della donna e una minaccia per il benessere collettivo”. E tale minaccia comincia con il “drammatico fenomeno dell’aborto”: che rivela troppo spesso “un’estrema solitudine della donna” ma anche la piega narcisistica tipica della nostra società: tutti i figli desiderati devono nascere ma solo quelli desiderati devono nascere”. Il simmetrico espandersi della maternità surrogata sembra al vescovo di Reggio Emilia un’imposizione di schiavitù tanto violenta quanto quella subita dalle donne nella cosiddetta società patriarcale”.
Quale “dono” costituisce la donna all’umanità della creazione? Camisasca risale alla Genesi per invitare a capire come il disegno di Dio ponga “nell’uomo e nella donna qualcosa di molto essenziale, che li costituisce identici l’uno all’altra, e nel contempo qualcosa che li differenzia. E ciò che li differenzia è ciò che li rende attraenti a vicenda”. Se “l’umanità esiste al maschile e al femminile”, uguaglianza e differenza restano “caratteristiche imprescindibili” e “qualunque atteggiamento che tenti di assolutizzare uno solo di questi due poli non può essere un approccio adeguato a una tematica affascinante e delicata”. E’ dunque “illusorio o utopico” pensare alla “differenza fra uomo e donna come a una condizione per uno scambio reciproco”?
La risposta sta nella riscoperta del “genio femminile” (copyright San Giovanni Paolo II) in cui “la parte speciale e impegnativa” nella generazione della vita umana non è affatto antitetica “all’impegno pubblico, politico artistico e culturale”. Se “la prima benedizione che Dio elargisce all’uomo e alla donna” è la fecondità, “il mondo ha trovato e potrà trovare immenso giovamento da una valorizzazione sempre maggiore dell’intelligenza, della sensibilità e dell’estro femminile in ogni ambito”.
Per Camisasca tale valorizzazione si traduce in modo peculiare nella capacità di “prendersi cura”, nella particolare “affettività al centro dell’anima femminile” acutamente osservata da Edith Stein. Un “compito profetico” quello che il vescovo di Reggio Emilia assegna infine alla donna nel presente e nel futuro: combattere “il restringimento di orizzonti” imposto dall’individualismo dominante e altresì “la scomparsa della sensibilità per ciò che è umano”, indotta dal “pensiero tecnico”.