Sapessi com’è strano darsi appuntamento a Milano per leggere e commentare I promessi sposi. Non una toccata e fuga con il romanzo del Manzoni; ma vero e proprio cammino lungo un anno per vivere, capitolo dopo capitolo, la stringente attualità di quell’opera così universale, così lombarda.
Lettura integrale, insomma. Nessuna prova muscolare e niente a che vedere con le diverse maratone letterarie e cinematografiche. No, il senso di questo affondo anche “pregiudicato” è nella possibilità di incontrare il significato universale di un testo spregiudicato nel suo essere così profondamente ordinato. Quasi fatto su misura per provocare (nel suo essere atto d’amore) la città contemporanea. Milano, certo. Ma per aprire e aprirsi.
Si legge, si riflette ad alta voce. Con don Lisander ben piantato al centro di una piazza partecipe (interpreti della vita civile, attori, pubblico) viva e vivace, allo Spazio Banterle, nel cuore della città. Ramo (a proposito di quel ramo…) teatrale del Centro Culturale di Milano.
Ciascuno la prenderà come la sente e se la sente, perché i Promessi Sposi sono nati per accogliere qualsiasi spostamento del cuore, qualunque respiro, anche il più piccolo turbamento. Se è vita è vita. Spericolata e/o miracolata.
Lo scrittore Luca Doninelli l’ha pensata e pensata giusta. Con il teatro de Gli Incamminati (una storia che a quella storia deve moltissimo) e il Centro Culturale di Milano, sempre attento a intercettare i punti vivi senza la presunzione di rinchiuderli in un discorso finito.
Un Manzoni messo alla prova non ce lo vediamo. Non è mica un test. Non deve dimostrare niente. E neppure siamo messi alla prova noi su quanto ne sappiamo; se la lezione dei Promessi sposi la conosciamo bene secondo precetti e concetti. E’ un pericolo che non c’è. Bruciato in partenza da imprevedibilità e freschezza di quelle pagine. Il punto non sono i temi piuttosto gli accadimenti. Presenti nel nostro presente. La bellezza fotografata fin dall’avvio; la libertà che già non era stare sopra un albero; la giustizia quella conosciuta e sconosciuta; il potere che è fuori ma così dentro di noi; la misericordia così vicina anche quando non parrebbe; l’accoglienza più evidente che spiegata; Dio che c’è nell’arrovellarsi e arroventarsi del suo popolo comunque popolo.
Ogni quindici giorni succede qualcosa, dunque. In quella piazza c’è l’anelito di una promessa che non merita di essere disattesa.
Certo che la forza d’urto de I promessi sposi ancora sorprende. Probabilmente non ancora esplorata appieno. Come tutte le opere d’arte questo è un romanzo che non si fa imprigionare. Sprigionano le pagine. Comunica l’imperversare della realtà che, se ti aspetti qualche sconto, non puoi che uscirne ammaccato. Anche se ferito è molto probabile in ogni caso…
E’ un romanzo molto europeo; illuminista e insieme cattolico (e non c’è contraddizione perché l’ideologico non abita lì); ruvido eppure compassionevole (l’uomo è l’uomo, non un’astrazione); talvolta si sorride di piccole meschinità ma senza che don Lisander ceda al giudizio asciutto e tagliente verso le nostre miserie. Ma il bello è che chiunque può trovarci il suo di Manzoni. O, meglio, è lui che ci stana portandoci dentro una storia che non si conclude. Ma dove ci si trova e ritrova.
Ecco allora che merita di essere sottolineato l’evento; la lettura e non la “lettura” di donne e uomini del nostro tempo; persone che vivono e avvertono il peso specifico di abitare una metropoli molto milanese ma assolutamente globale, appunto universale come il romanzo.
Ciascuno è destinato a portare a casa qualcosa di buono da quelle serate, da quello strano darsi appuntamento a Milano. Strano non perché sia una stranezza. Un’eccentrica messa in scena. Ma perché lì succede una nascita. In una piazza dove il suono vorrebbe essere po’ intonato nella confusione di un traffico esistenziale che ci ingorga l’anima.
Abbiamo gli occhi per leggere vedendo. E ascoltare vedendo. Anche solo dando credito a questo gesto di umiltà è possibile stare sul presente e guardare il futuro delle nostre città con sincerità, gratuità e simpatia. Chiamandosi dentro e non restando al di fuori. Una povertà di spirito, finalmente. Che tale gesto debba qualcosa al manzoniano cammino di papa Francesco a Milano? Le tracce ci sono.
La prima occasione di incontro è per giovedì 9 novembre, dalle 18.30. Con Erasmo Figini, presidente dell’Associazione Cometa e della scuola Oliver Twist di Como che, sulla bellezza, ha costruito un’opera educativa con il tratto dell’eccellenza. Per l’umanità che la anima, mai banale, sempre interrogante. Si tratta di un’esperienza molto manzoniana.