Nietzsche, chi era costui? Vale la pena farsi questa domanda nell’anno 2017, girata la boa del Novecento, il secolo in cui dei fanatici, o forse meglio degli sprovveduti, hanno visto in questo autore “il filosofo di Hitler”, colui che ha decretato la morte di Dio e di conseguenza avrebbe spalancato le porte a una generazione di Superuomini, completamente atei, seminatori delle ideologie peggiori che hanno flagellato il genere umano?
Francesco Roat — saggista, germanista e narratore — non è uomo che si accontenta di opinioni confezionate: amante di Rilke e di Hölderlin, prende il coraggio a due mani e ci porta nell’intricata selva di pre-giudizi e dis-topie che ricoprono malamente la figura del pensatore a torto considerato il Nichilista per antonomasia, quando egli più di ogni altra cosa aborriva il nichilismo.
La risposta al quesito iniziale è dunque l’obiettivo dell’ultimo saggio di Roat — Religiosità in Nietzsche. Il vangelo di Zarathustra, Edizioni Mimesis —, testo compatto, densissimo e spiazzante — cioè vero —, puntiglioso e ricco di citazioni, note, traduzioni. Una esplorazione minuziosa e meticolosa, che si addentra con la penna brandita come un bisturi in un terreno insanguinato e inselvatichito, cercando di sfrondare il Pensiero di quest’Uomo e ricostruire la traccia del suo sentiero filosofico originalissimo. E la scoperta, o meglio, la chiarezza ancora aurorale e nebulosa del senso del sacro di un pensatore che ha perso la fiducia nel pensiero architettonico e immutabile, che è stato deluso dalla gabbia della chiesa luterana, respinto dal moralismo umano, troppo umano dei benpensanti, ma che cerca, cerca sino alla follia un “Oltreumano”, “al di là del bene e del male”, che sia comunque un essere, libero, non certo un sovrastare.
“Fra tutte le grandi doti di Nietzsche non ve n’era nessuna, più di quella del genio religioso, che fosse legata in modo tanto inesorabile e profondo alla totalità del suo spirito”.
Questa affermazione, riportata nel saggio, proviene da Lou Andreas Salomé, donna amata profondamente dal filosofo tedesco, che ben due volte si rifiutò di sposarlo. Lou ebbe un legame profondo e amicale con Nietzsche; lei era una scrittrice e psicoanalista di origini russe che scrisse un libro molto valido ma molto ignorato sul suo sfortunato pretendente, pochi anni prima della sua morte quando egli era già follemente invalido.
“Religione è amare oltre sé stessi” afferma un Friedrich che pure ha scritto un polemicissimo Anticristo ed è ormai prossimo a precipitare nella psicosi da cui non si libererà più e forse, in una specie di sacra follia, non teme più di accostarsi a quel Crocifisso verso cui lo ha sempre sospinto un irrisolvibile moto di amore-odio. A questo proposito sarà bene ricordare ai lettori che Nietzsche firmerà proprio con lo pseudonimo il Crocifisso alcuni degli ultimi cosiddetti biglietti della follia. Religione può essere allora rinunciare a una verità dogmatica per porsi in modo nuovo nei confronti del mondo e di Dio.
Se la famosa frase “Dio è morto” viene rimessa a fuoco e significa messa al bando di ogni idolatria, con tale formula si può alludere ad una spiritualità non convenzionale, eccentrica, eretica ma non priva di significato. In questa rilettura consiste il lavoro straordinario di Roat che ci prende per mano e ci fa addentrare oltre il labirinto nichilista e approdare nella radura nietzschiana dove possiamo, finalmente liberi da pregiudizi aprioristici, guardare in faccia il nostro malfamato filosofo e cogliere i motivi per cui è stato così infamato, usato, deformato.
Potremo allora esplorare le perplessità dell’orizzonte moderno intravviste da Nietzsche e comprendere cosa ha significato davvero per lui la scomparsa — forse solo la pretesa della scomparsa — di Dio dal suo orizzonte: la spinta a una ricerca, indispensabile e innovativa, di Altro, da parte di un uomo Altro, che nello Zarathustra viene definito Übermensch o oltreuomo, termine col quale il filosofo tedesco non si riferisce a un qualche improbabile Superman, né a qualsivoglia tiranno di tipo hitleriano; piuttosto all’essere umano pensante che usa anche la Poesia per traghettarsi in un mondo nuovo, non utopistico ma possibile, da cercare oltre ogni consuetudine, oltre ogni ideologia. “Al fine (cito Francesco Roat) d’un rinnovamento del dire filosofico che non cerchi più certezze lasciando il Grund per l’Abgrund: la stabilità per l’abisso”.