Come riporta Vatican Insider nei giorni scorsi, per Padre Pierre Teilhard de Chardin il Pontificio Consiglio della Cultura ha richiesto 55 anni dopo il documento ufficiale del Vaticano la possibile revisione del “Monitum” sulle opere del gesuita scienziato e teologo molto discusso nello scorso secolo. Lo ha reso noto il portale DISF , realizzato dal Centro di Ricerca di Documentazione Interdisciplinare di Scienza e Fede eretto presso la Pontificia Università della Santa Croce a Roma: pare che la lettera inviata a Papa Francesco con la richiesta di una revisione della “censura” imposta sugli scritti scientifici (dunque non tutti) sia stata accolta molto positivamente dalla Santa Sede, nel tentativo di migliorare sempre di più il dialogo e i rapporti tra il mondo della Chiesa, la comunità dei non credenti e la comunità scientifica. «La lettera è composta da poche righe, nelle quali si spiega al Pontefice che, durante i lavori della plenaria, sia emersa la sensazione che il pensiero di Teilhard de Chardin sia stato equivocato. Pur se concordi all’unanimità che alcuni dei suoi scritti possano essere sottoposti a critiche costruttive, si è sottolineato quanto la sua visione sia stata d’ispirazione per molti teologi e scienziati. Quindi, è nata la volontà di domandare al Papa se sia possibile prendere in considerazione la possibilità di rimuovere il Monitum del 1962», spiega ancora Vatican Insider, mostrando dunque la possibile svolta del Vaticano nei confronti di un grande uomo religioso del Novecento, spesso discusso per le sue teorie scientifiche.



GLI ERRORI TEOLOGICI

Pierre Teilhard de Chardin all’interno della sua lunga e incessante opera di evangelizzazione cristiana nell’incontro con il metodo scientifico e le grandi innovazioni del secolo scorso, aveva come stella polare la sacralità del sacerdozio da un lato, il pionierismo del gesuita, la passione e competenza dello scienziato, l’arditezza innovatrice del teologo, «la profondità di pensiero del filosofo, la fecondità dello scrittore scientifico-religioso, l’ardore dell’anima consacrata al Sacro Cuore di Gesù, il misticismo del cantore di Cristo nell’Universo, il sacrificio per il silenzio impostogli, l’obbedienza fiduciosa nella Chiesa», come si legge sulla scheda del gesuita francese sul portale cattolico Santi e Beati. Nonostante questo, alcune sue teorie – come lo scarso utilizzo dell’intellectus fidei, una certa “poesia teologica” e una complessa quanto probabile deriva da “gnosi” – vennero giudicate pericolose dalla Chiesa di allora come insegnamento ai preti nei seminari e per questo vennero sottoposte al Monitum che dal 1962 dura incessantemente. La Disf però spiega che l’idea dei promotori pro-Teilhard è quella di riconoscere lo sforzo di Teilhard per conciliare la visione scientifica dell’universo con l’escatologia cristiana, ma soprattutto avrebbe il merito di porsi come stimolo per tanti scienziati e umanisti che lavorano in un’ottica di dialogo e cooperazione per un’antropologia cristiana. Giovanni Cavalcoli sul portale “Isola di Patmos” da un lato appoggia la decisione della Pontificia Commissione Cultura dall’altro però non nasconde che vi siano molti errori teologici nelle sue teorie scientifiche: «in Teilhard de Chardin manca la nozione analogica dell’ente, che consente di riconoscere il primato e la trascendenza dello spirito sulla materia; Per lui Dio è l’anima del mondo»: proposizione di sapore panteistico. Confonde il rapporto Dio-mondo col rapporto anima-corpo; vien meno la distinzione fra l’ordine naturale e quello soprannaturale, essendo la grazia, partecipazione alla vita divina, puro spirito senza materia».



IL “GUSTO DI VIVERE” E IL CRISTOCENTRISMO

Come sempre, la Chiesa nella sua complessa e universale opera di giudizio e confronto con la realtà multiforme che si evolve nel corso dei secoli, ha il doppio compito molto importante di evangelizzare, educare i propri fedeli e nello stesso tempo non rinunciare a raccontare e dire la verità delle cose, qualsiasi esse siano. In questa complessa “triangolazione” ovviamente non si può essere perfetti/non commettere errori, anche gravi (come sul caso di Galileo, ad esempio, ma non solo). Quello che viene chiesto nella revisione del Monitum su Padre Teilhard va esattamente in questa direzione: non tutto era posto nei perfetti canoni della teologica cristiana dell’epoca, ma non per questo allora deve perdurare la censura su quei testi e oggi, con la crescita e l’evoluzione tanto della chiesa quanto della scienza, si può arrivare ad nuovi compromessi che tengano sempre conto dei tre “principi” qui sopra esposti. La sua spiritualità fortemente incarnazionista, che riempie di sé l’accavallarsi di pensieri travolgenti, culmina nel riconoscere il Cuore di Cristo, morto e risorto, come centro dell’universo: «Il Cristo. Il suo Cuore. Un Fuoco; capace di tutto penetrare, e che, a poco a poco, si spande dappertutto». Cristo centro di tutto da un lato, il confronto con la scienza dall’altro: la Chiesa in mezzo alle posizioni di un grandissimo pensatore come Chardin si muove come sempre con passo accorto e nel tentativo di valorizzare il positivo e il buono dentro ogni realtà. Al netto di ogni possibile errore della Chiesa all’epoca, e dello stesso Teilhard de Chardin nel suo incedere teologico, hanno collaborato insieme e non inutilmente ad un orizzonte comune: «Le teorie di padre Teilhard de Chardin, tendenti ad interpretare alla luce della scienza moderna, l’ispirazione cosmologica ed escatologica del cristianesimo primitivo, pur accolte tra gravi sospetti e violente polemiche, hanno contribuito potentemente alla saldatura tra cristianesimo e mondo moderno», spiega ancora il portale Santi e Beati.



Come ha saputo descrivere magistralmente un altro grande genio del Novecento cristiano, come Don Luigi Giussani, l’opera e il lascito di Chardin in campo teologico è tutt’altro che fallace: «Il vero pericolo della nostra epoca, diceva Teilhard de Chardin, è la perdita del gusto del vivere. Ora, la perdita del gusto del vivere implica il non sentimento di sé, […] la non affezione a sé.  Però, occorre fare un’anestesia totale perché un uomo perda integralmente, interamente il senso dell’attaccamento a se stesso e perciò una, almeno embrionale, emozione per se stesso, una preoccupazione di se stesso; occorrerebbe un’anestesia totale.  Il tipo di società in cui viviamo riesce a realizzare queste anestesie totali, però non possono essere permanenti.  Anche queste anestesie totali estremamente diffuse – perciò è una società caratterizzata totalmente dalla alienazione – hanno un limite, non possono essere permanenti e per questo la sofferenza […] non è evitabile.  La sofferenza […] indica la sospensione o la rottura o la fine di un’anestesia totale» (L. Giussani, Uomini senza patria (1982-1983), BUR, Milano 2008, pp. 292-293).