Austen Ivereigh è certamente il più grande conoscitore, a livello mondiale, della biografia e della vita di Jorge Mario Bergoglio che da cinque anni è pontefice della Chiesa Cattolica con il nome di Francesco. Con lui abbiamo parlato del libro, appena uscito per i tipi della Jaca Book (Jorge Mario Bergoglio. Una biografia intellettuale), di un altro grande autore e conoscitore di Papa Francesco, il filosofo italiano Massimo Borghesi. I due autori si arricchiscono a vicenda: il primo ha presentato in modo esaustivo la storia di Papa Francesco, il secondo il suo pensiero. Tra le tante critiche che vengono fatte al Santo Padre vi è anche quella di non avere una “preparazione intellettuale” sufficiente per guidare una Chiesa con più di un miliardo di fedeli. Ne abbiamo parlato con lo scrittore e giornalista britannico, per il quale Papa Francesco “non è solo un capitolo, o una parentesi, nella storia in evoluzione della Chiesa. Fa parte di un cambio di era”.
Austen Ivereigh, si può parlare di un incontro “ideale” della sua biografia Tempo di misericordia. La vita di Jorge Mario Bergoglio e della biografia intellettuale di Massimo Borghesi nell’approfondire la figura di papa Francesco?
Il professor Borghesi cita gentilmente la mia biografia molte volte e mi dice che il suo grande libro non sarebbe stato possibile senza il mio, il che è un grande onore. Ciò che intende è che nel libro The Great Reformer (Tempo di misericordia, cit.) io identifico ciò che ha principalmente influenzato la mentalità e la formazione di Jorge Mario Bergoglio, compresi determinati pensatori. Ma io non avevo né il tempo né la conoscenza per seguirli e svilupparli. Questo è ciò che Borghesi è così eminentemente qualificato a fare, e posso pensare a pochi altri in una posizione migliore per farlo. Ha presentato un meraviglioso viaggio nel pensiero del nostro Papa: non solo quello che pensa, ma come lo pensa. Non c’è una chiave migliore per capire Francesco.
Quale immagine del Papa viene confutata o contraddetta e come mai, viceversa, questa immagine è oggi così forte?
Come dice Borghesi all’inizio del libro, è un mito diffuso tra molti oppositori del Papa che Francesco non sia in qualche modo un pensatore serio o importante, a differenza del grande filosofo Giovanni Paolo II o del magistrale teologo Benedetto XVI. Persino quelli che ammirano il papa parlano spesso di lui come di un pastore, un uomo di calore e fascino o persino di un genio strategico, ma non uno le cui idee debbano necessariamente essere prese sul serio. Borghesi mostra quanto sia errato questo giudizio. Che Francesco non abbia un background accademico professionale non toglie il fatto che sia un pensatore profondo e sistematico. Come dice lo stesso Borghesi, la semplicità dei modi e della comunicazione del Papa è una semplicità al di là della complessità. Può essere così diretto solo perché un grande pensiero ha a lungo preparato le sue affermazioni.
Guzmán Carriquiry Lecour ha scritto, a proposito del libro di Borghesi, che “si tratta di uno studio molto importante che prende in esame un aspetto essenziale, decisamente trascurato, per la comprensione dell’attuale pontefice: quello della genesi e dello sviluppo del suo pensiero”. Condivide?
Sono assolutamente d’accordo! — e la prefazione del professor Carriquiry è molto interessante in questo senso, perché sottolinea le ragioni di questa trascuratezza: non solo la lettura errata che ho appena menzionato, e il desiderio di Francesco di comunicare direttamente e umanamente, ma perché le grandi influenze su di lui — come quella della filosofa argentina Amelia Podetti, del visionario uruguaiano Alberto Methol Ferré — sono giganti nelle loro terre d’origine, ma praticamente sconosciuti all’estero. Ad eccezione di alcuni esponenti della teologia della liberazione, gli intellettuali cattolici latinoamericani sono stati ignorati in America e in Europa. Non più!
Ritiene che Borghesi abbia ragione a sottolineare l’importanza della lettura “dialettica” di Ignazio (Gaston Fessard, K.-H. Krumbach) per comprendere la genesi del pensiero di Bergoglio?
Al centro dell’esposizione di Borghesi c’è lo sviluppo del pensiero di “riconciliazione” di Francesco, che nasce da una tradizione di pensiero cattolico in risposta alla dialettica hegeliana. Questo è il filo rosso, come lo descrive Borghesi, che tiene insieme il pensiero “bergogliano, formando un “nucleo concettuale originale”. Ha svolto un ottimo lavoro di archeologia intellettuale, rimuovendo una serie di stratificazioni, dimostrando che i gesuiti francesi degli anni 50 — in particolare Gaston Fessard — sono stati cruciali nello sviluppo di quel pensiero. Gli Esercizi Spirituali di Sant’Ignazio sono naturalmente disposti a tenere il credente in una tensione orante tra le polarità, cioè tra poli che sembrano tirare in direzioni diverse. In sostanza, questo è il tipo di pensiero a cui ci incita l’Incarnazione: la riconciliazione di ciò che senza il beneficio della Grazia appare essere contraddittorio. Questo non inizia con Ignazio e non è confinato ai gesuiti — in effetti, l’opera di Bergoglio era sulla dialettica di Romano Guardini — ma si vede che avere quel “SJ” dopo il tuo nome ti predispose a questo tipo di pensiero.
Il Papa ha mandato a Borghesi delle registrazioni in cui risponde ad alcune domande sulla genesi del suo pensiero. Corrispondono le risposte del Pontefice maturo a ciò che lei ha studiato della vita di Bergoglio? Cosa si sente di dire in proposito?
Le risposte che ha dato Francesco mi hanno affascinato, perché mostrano un nuovo lato del Papa; mi hanno fatto pensare ad un anziano professore universitario che rispondeva pazientemente alle domande curiose del suo brillante studente, usando un linguaggio completamente appropriato a un contesto intellettuale. Francesco condivide con Borghesi persino il nome della tesi su cui ha lavorato per quattro anni, una tesi che ha informato il suo discernimento come leader della Chiesa. “L’opposizione polare come struttura del pensiero quotidiano e proclamazione cristiana” era il suo titolo provvisorio. Sono stato sinceramente entusiasta di conoscere la tesi, perché sapevo dalla mia stessa ricerca che Bergoglio è un pensatore sia complesso che pratico; in altre parole, il suo pensiero era progettato per essere applicato al servizio del Regno, un mezzo per un fine apostolico. Ma mentre percepivo questo, e ne vedevo i risultati, è arrivato il libro di Borghesi ad aiutarmi a capire quel pensiero. E penso che sia davvero eccitante, come inciampare in un tesoro in un campo. Sospetto che il grande scavo di Borghesi condurrà a molti altri scavi minori.
Una delle accuse fatte al Pontefice è quella di essere marxista. Leggendo Borghesi pare invece che il Francesco abbia fatto sua una lettura critica del fenomeno politico argentino che porta il nome di Juan Domingo Perón, senza però alcun cedimento ad un peronismo ideologico. Cosa ne pensa?
Chiunque accusi Francesco di essere marxista rivela solo la sua profonda ignoranza. Chiunque pensi che questa forma di pensiero dialettico sia hegeliano non conosce né Hegel né i grandi pensatori cattolici come Adam Möhler o Romano Guardini, le cui dialettiche sono un rifiuto di Hegel. È come accusare Leone XIII di marxismo perché ha promosso i sindacati e il giusto salario. Il peronismo, d’altra parte, è una vera influenza. Ma non è una critica a Borghesi dire che il suo libro getta poca luce su quell’influenza, perché il peronismo non è, di per sé, una scuola di pensiero o persino un pensiero sistematico, che è l’oggetto di Borghesi. Come sostengo in The Great Reformer, il peronismo ha plasmato Bergoglio in due modi: uno, perché è emerso dall’humus della tradizione culturale distintiva dell’America latina, ed era quindi “del popolo”; in secondo luogo, perché Perón era un brillante leader e stratega, che offrì a Bergoglio e ad altri nazionalisti cattolici della sua generazione un modo di essere politico che trascendeva sia il liberalismo che il collettivismo.
Per quanto riguarda poi l’assunzione acritica del marxismo da parte della teologia della liberazione mi sembra di comprendere in Borghesi che già l’allora provinciale dei gesuiti e poi arcivescovo di Buenos Aires, in dialogo in primis con Alberto Methol Ferré, se ne distanzi a favore di una teologia del popolo latino americano e di una fedeltà incondizionata alla Chiesa universale e petrina.
Il cuore della differenza tra teologia della liberazione e teologia del popolo non è l’opzione per i poveri o anche la nozione di liberazione storica, ma l’attenzione per la cultura e la storia. Methol Ferré, don Lucio Gera e altri nel gruppo di esperti del consiglio dei vescovi latinoamericani (Celam) credevano che i seguaci della teologia della liberazione avessero accettato troppo acriticamente i paradigmi marxisti e tecnocratici della sociologia della modernizzazione, che a loro avviso non corrispondevano alla specifica tradizione culturale e storica dell’America latina. La fedeltà a Roma era parte di questa posizione. Ma ciò non significa che non fossero critici nei confronti del Vaticano, e in particolare del suo centralismo.
Dalla filosofa argentina Amelia Podetti, Bergoglio impara a superare criticamente anche Hegel. Perché questo è un punto decisivo nel pensiero del futuro Papa?
Borghesi fa vedere che la maggiore influenza di Podetti su Bergoglio stava nel mostrargli l’importanza della periferia come locus di nuove prospettive e sintesi creative. Podetti, che proveniva da un’importante famiglia di cattolici e intellettuali nazionalisti, credeva che l’America latina avesse un ruolo vitale nel futuro nel mondo come una civiltà cristiana “moderna” capace di trascendere le dialettiche individualista-collettivista, liberale-totalitario, est-ovest.
Gli scritti di Bergoglio sono “solo” occasionali (per il bicentenario dell’Argentina, per l’inizio di un anno accademico, eccetera). Non esagera Borghesi a suggerire l’idea di un sacerdote, vescovo e papa, in dialogo con i grandi della teologia e della filosofia del ventesimo secolo (Gaston Fessard, Henri De Lubac, Romano Guardini, Hans Urs von Balthasar) su temi altamente filosofici come la differenza tra Gegensatz (opposizione) e Widerspruch (contraddizione)?
Sono d’accordo con Borghesi sul fatto che ciò che abbiamo in Bergoglio è un pensatore e leader di una chiesa il cui sistematico impegno con quei giganti della tradizione cattolica moderna ha prodotto una lettura sorprendentemente creativa e profetica delle realtà contemporanee sia nella Chiesa che nel mondo. La distinzione tra Gegensatz — che traduco come “contrasto” — e Widerspruch (contraddizione) è al centro di questo pensiero. A Francesco piace dire che la diversità è divina, ma la divisione è diabolica e che l’azione dello Spirito Santo crea una “diversità riconciliata” che immagina come un poliedro in contrasto con l’uniformità di una sfera. Come possiamo tenere insieme i contrasti in modo tale da permettere allo Spirito Santo di creare da questi una sintesi che li trascenda senza distruggerli? In altre parole, come possiamo evitare che contrasti dinamici salutari cadano in contraddizioni? Questo è il compito nel cuore di ogni istituzione o corpo: è il grande compito che deve affrontare il nostro mondo. Non penso che possiamo sottovalutare la potenza di questo pensiero. Questa è la missione della Cristianità nel cuore del mondo.
Borghesi vede in Methol Ferré e Augusto Del Noce pensatori che non ravvisano una contraddizione ultima tra pensiero cattolico e modernità. Cosa ha a che fare questa interpretazione con il fatto per cui Francesco è in dialogo con tutti, con le grandi religioni non cristiane, con le altre confessioni cristiane e con il pensiero laico?
Sì, direi che Methol Ferré e Del Noce offrono un modello di impegno critico con la modernità che trascende le polarità dell’assimilazione/rifiuto. Nel caso sia dei modernisti che dei tradizionalisti, è la modernità a dominare: nel primo caso perché diventa il modello cui aspiri, nel secondo caso perché diventa il modello che rifiuti. Ma in entrambi i casi, la modernità è determinante. Il modello Bergoglio-Methol, che trae ispirazione nella storia dall’esempio dell’umanesimo barocco dell’America coloniale spagnola, è generativo di cultura piuttosto che essere soggetto ad esso. È la via del Concilio Vaticano II: evangelizziamo il mondo prendendoci cura di esso, curandolo e guidandolo; riformiamo la Chiesa per renderla più capace di evangelizzare la modernità. Né il fondamentalismo né il liberalismo sono capaci di evangelizzare. Solo nel dialogo — che significa impegno e discernimento — creiamo lo spazio perché lo Spirito Santo agisca. E non c’è nessuna parte, e nessuno, che siano esclusi da questo dialogo.
Vedono giusto il cardinale Ouellet e Borghesi nell’identificare nei seguenti principi, espressi per esempio anche nella Evangelii gaudium, il cuore del pensiero di Papa Francesco: “il tempo è superiore allo spazio”; “l’unità prevale sul conflitto”; “la realtà è più importante dell’idea” ed infine “il tutto è superiore alla parte”?
Ero solito pensare che i cosiddetti “quattro principi” in Evangelii Gaudium, che Bergoglio aveva sviluppato nel 1980, formassero il nucleo del suo pensiero, ma ora realizzo — da Borghesi — che è nell’applicazione di questi principi alle polarità di Guardini che troviamo il “cuore” del suo pensiero. Penso che lo direi in questo modo: il cuore del pensiero di Francesco è la capacità di portare, in preghiera, le differenze dinamiche di questo mondo e permettere allo Spirito Santo di forgiare nuovi percorsi creativi. Al cuore di questa impresa c’è il rispetto per l’integrità dei poli. La “conversione pastorale” a cui Francesco sta guidando la Chiesa significa vivere meglio nella tensione dell’universale (verità oggettiva, legge, dottrina) e del particolare (le circostanze particolari della gente, l’attenzione che Dio paga all’individuo). Essere più misericordiosi non significa essere meno impegnati nella verità. Ma il fatto che così tante persone la pensino così — come testimonia l’ostilità alla Amoris Laetitia — dimostra quanto la nostra Chiesa abbia bisogno di questa conversione.
Infine che dire del giudizio di Philip Jenkins, tra i massimi esperti di religioni al mondo, ripetuto di nuovo solo qualche settimana fa: la Chiesa cattolica sta andando incontro alla più grande trasformazione da molti secoli in qua e non solo a cambiamenti superficiali?
Il punto di Jenkins era geo-ecclesiastico. I dati demografici mostrano che l’Europa non è più il centro della Chiesa, e il ricco nord non è più la norma per il cattolicesimo. Il futuro appartiene alla periferia. La luce si diffonderà sempre più dalla Galilea a Gerusalemme. Ecco perché il papato di Francesco non è solo un capitolo, o una parentesi, nella storia in evoluzione della Chiesa. Fa parte di un cambio d’era.
(Traduzione di Bruno Brunelli)