Il mondo della comunicazione è in fermento. Si profilano manovre societarie che vedono protagonisti produttori di contenuti, come Disney, Fox, Vivendi, aggregatori come Netflix e Amazon, giganti delle telecomunicazioni come AT&T. L’ingresso nel mercato pubblicitario dei cosiddetti Over-the-Top (Ott) e dei social media ha sconvolto equilibri consolidati. La partita è prima di tutto economica. A livello internazionale è divenuta centrale la produzione di contenuti originali, sull’esempio di Netflix. In secondo luogo l’acquisizione di diritti pregiati, soprattutto di eventi sportivi. Seppur più lentamente, gli scenari cambiano anche in Italia. Secondo l’ultima proiezione Nielsen la raccolta pubblicitaria italiana 2017 è generalmente in calo, tranne il search and social, sostanzialmente Facebook e Google. Si stima che i colossi del web raccolgano oggi qualcosa come 1,5 miliardi di pubblicità, secondi solo a Mediaset, leader del mercato. 



Ma accanto a quella economica, sul sistema delle comunicazioni si gioca una partita etica e politica. Centrale sarà il destino della cosiddetta net neutrality, cioè la teorica parità di trattamento sul web di tutti i portatori di contenuti. Gli Stati Uniti la stanno mettendo in discussione, tra molte polemiche. I governi, anche i più liberisti, hanno compreso la posta in gioco nel fenomeno della convergenza dei media digitali e intervengono sempre più frequentemente non solo per regolamentare, ma anche per dirigere i mercati. Inoltre, molte personalità denunciano rischi seri per la democrazia, la libertà di espressione e addirittura la libertà di pensiero. Ultimo in ordine di tempo è Chatman Palihapitiya, storico manager di Facebook, da diversi anni uscito dall’azienda ed oggi su posizioni fortemente critiche. Nel corso di un’intervista alla Stanford University, Paliahpitiya ha affermato che Facebook ha creato un sistema che sta “distruggendo il modo normale in cui la società funziona: non sono cresciute né discussioni né collaborazione, ma solo disinformazione e mistificazione della realtà”. 



Una manipolazione delle coscienze. Per rafforzare la sua critica, il manager ha citato il caso di un linciaggio di sette persone innocenti avvenuto in India a seguito della diffusione di false accuse sui social (l’India, per il numero dei suoi abitanti e per la diffusione della lingua inglese, è oggi per Facebook uno dei mercati di punta). A mio figlio, ha concluso Chatman, io non permetto di usare that shit

Facebook ha replicato, ma la sua difesa appare debole. Le polemiche sulle fake news e sulle ambiguità di alcuni ospiti del social (ultimo in Italia il network Web365, bloccato da Facebook dopo l’accusa di fare “pseudogiornalsmo”) segnalano che qualcosa sta cambiando nel “sentiment” verso i padroni del web. Ma attenzione, ciò non si traduce in un cambio di abitudini. Lo stesso è avvenuto per la tv tradizionale, che da anni gode di pessima fama, ma continua ad essere vista da moltissime persone. Allo stesso modo, tutti sanno che ogni ricerca sul web lascia dati che permettono di identificare il profilo dell’utente, i suoi gusti, le sue preferenze e di indirizzare le sue future ricerche (interessante a questo proposito l’iniziativa di Qwant, un motore di ricerca che promette un totale rispetto della privacy). Ma nonostante ciò tutti continuano ad usare Google. 



Il caso della requisitoria anti social di Palihapitiya è sintomatico della complessità della questione. Paradossalmente, i media lo hanno trattato nello stesso modo da lui denunciato. Hanno riportato le sue frasi contro le falsità di Facebook, ma si ha la sensazione che lo abbiano fatto copiando l’uno dall’altro, senza andare alla fonte. In rete c’è il video completo del suo intervento e, vedendolo, si scoprono altre cose, altrettanto interessanti. Ad esempio, la sua concezione del rapporto col denaro, lucidamente cinica. Palihapitiya è un self made man che viene dalla povertà dello Sri Lanka ed oggi impiega i suoi ingenti capitali per iniziative, diciamo così, umanitarie. Come dobbiamo rapportarci al denaro? — gli chiede a un certo punto l’intervistatrice. E’ il denaro che dà il potere e dunque “get it!” — risponde lui senza mezzi termini. In un certo senso dimostrando ancora una volta, come si è detto sopra, il primato del fattore economico e quanto sia difficile uscire dal suo orizzonte totalizzante.