E’ un po’ surreale che per criticare papa Francesco si scrivano narrazioni che ricalcano alla lettera Il padrone del mondo di Hugh Benson, il romanzo in cui il convertito inglese al cattolicesimo disegnava il dilagare dell’umanitarismo di fine ‘800 e la conseguente eutanasia  del cattolicesimo. Surreale perché Benson è un autore di riferimento di Bergoglio. Lo ha ricordato lui stesso nell’incontro con le famiglie a Manila: “C’è un libro — scusatemi, faccio pubblicità — c’è un libro, forse lo stile è un po’ pesante all’inizio, perché è scritto nel 1907 a Londra… A quel tempo lo scrittore ha visto questo dramma della colonizzazione ideologica e lo descrive in quel libro. Si chiama Lord of the World. L’autore è Benson, scritto nel 1907, vi consiglio di leggerlo”. Non è certo l’unica occasione. Il riferimento a Il padrone del mondo torna infatti più volte nell’eloquio del Papa



Accade ora che il modello che soggiace al romanzo di Benson sia volto proprio contro Francesco. E’ quanto accade nel testo di Aldo Maria Valli Come la Chiesa finì (Liberilibri), il secondo scritto del vaticanista del Tg1 contro Bergoglio dopo 266. Jorge Mario Bergoglio Franciscus P. P. (Liberilibri, 2016). Qui l’umanitario Julian Felsenburg, il padrone del mondo di Benson, ha la sua controfigura nei vari papi che, da Francesco I in avanti, si succedono sul trono di Pietro assumendo tutti il nome di Francesco. Il significato è palese. Dopo Francesco la Chiesa universale si tinge di umanitarismo, modernismo, “misericordismo”, perdonismo. Una Chiesa ecumenica che non vuol più sentir parlare di peccato, sacrificio, condanna, lotta contro il mondo. L’eutanasia del cattolicesimo è promossa dal suo centro, dal Papa francescano. Così il modello di Benson, prediletto da Francesco per criticare l’uniformismo omogeneizzante e livellatore del mondo sferico, è utilizzato proprio per criticare il Pontefice. Una forzatura che dimostra quanto il pregiudizio incida nello scritto di Valli, la cui parabola è bene descritta da Luigi Accattoli



Un pregiudizio che porta il vaticanista a gravi errori di interpretazione. Come se il commentatore televisivo non conoscesse il pensiero del Papa. Nel suo volume Come la Chiesa finì Valli dedica un capitolo a “Come fu che la Chiesa riabilitò Marcione”, lo gnostico del II secolo d.C. per il quale il Dio misericordioso del Nuovo Testamento non aveva nulla in comune con la divinità iraconda dell’Antico Testamento. In Marcione l’et-et cattolico, l’unione e la continuità tra i due Testamenti, si trasforma nell’aut-aut tra cristianesimo ed ebraismo. Ebbene Bergoglio diviene, nella narrazione favolistica di Valli, l’ultimo discepolo di Marcione, il promotore del Dio “misericordioso”, l’oppositore alla Chiesa “antica” contrassegnata dal giudizio e dalla condanna. 



Un tale fraintendimento del pensiero del Papa, portato avanti dai settori più ostili del tradizionalismo cattolico, non ha giustificazione. Fare di Bergoglio un manicheo, un assertore della nuova Chiesa contro l’antica, della novità contro la tradizione, del Dio di misericordia contro il Dio di giustizia, costituisce una mistificazione. Tutto il pensiero dell’autore ruota infatti, come risulta evidente dal mio studio Jorge Mario Bergoglio. Una biografia intellettuale (Jaca Book), intorno alla “polarità”. E’ l’et-et cattolico che domina la sua riflessione scandita dal pensiero antinomico di Gaston Fessard, Henri de Lubac, Romano Guardini, Eric Przywara. Bergoglio non contrappone la verità alla misericordia, la norma alla sua declinazione pratica, ma le intende come poli indissociabili di una totalità. I trascendentali, il bello-bene-vero, sono inseparabili. La priorità del bello e del bene sul vero è, seguendo Hans Urs von Balthasar, una priorità esistenziale, non ideale. 

Se così è, come può scrivere Valli che Bergoglio è, con Marcione, un autore dell’antitesi, del “dualismo insanabile” tra giustizia e misericordia quando tutto il pensiero di Bergoglio, come documenta una delle sue coppie polari, afferma che “L’unità è superiore al conflitto”? Come può affermare che il peccato originale è per lui un mito quando Francesco ha più volte richiamato la presenza del diavolo come “persona”? Come può scrivere che non è necessaria la grazia divina quando il Papa richiama costantemente il valore fondante del Primerea, della grazia di Dio? Come può Valli scrivere che Cristo non è rilevante, nel concerto religioso, quando tutta la predicazione di Francesco è cristologica? Come ha detto il Papa, in occasione del Natale, “Ai nostri tempi, specialmente in Europa, assistiamo a una specie di ‘snaturamento’ del Natale: in nome di un falso rispetto di chi non è cristiano, che spesso nasconde la volontà di emarginare la fede, si elimina dalla festa ogni riferimento alla nascita di Gesù. Ma in realtà questo avvenimento è l’unico vero Natale! Senza Gesù non c’è Natale: c’è un’altra festa, ma non Natale. E se al centro c’è lui, allora anche tutto il contorno, cioè le luci, i suoni, le varie tradizioni locali, compresi i cibi caratteristici, tutto concorre a creare l’atmosfera della festa. Ma se togliamo lui, la luce si spegne e tutto diventa finto, apparente”.   

Che idea ha Valli del Pontefice? Come si può raffigurare Bergoglio come un seguace dello gnostico Marcione quando la critica allo gnosticismo è il cuore ignaziano del pensiero di Bergoglio? E’ il punto di vicinanza con la grande Estetica teologica di von Balthasar. Nel mio volume su Bergoglio, alle pp. 268-269, riporto un’affermazione del Papa: “Riguardo a Balthasar ricordo fortemente il capitolo dedicato ad Ireneo di Lione in Stili ecclesiastici. La sua posizione contro le due eresie che sempre sottolineo, lo gnosticismo e il pelagianesimo, è geniale. La critica di Ireneo allo gnosticismo è decisamente geniale. La sua estetica mi ha colpito molto”. Ireneo, l’autore del grande trattato contro gli gnostici, è un modello per Bergoglio. 

Valli, dispiace dirlo, pur commentando quotidianamente i gesti di Francesco, sembra non conoscerlo. Vede il modernismo là  dove c’è semplicemente il cattolicesimo sociale. Non capisce che la novità dello stile e della prospettiva missionaria non implica affatto la svendita della tradizione. E’ quanto riconosce un autore non certo tenero con il Papa come Sandro Magister il quale scrive: “Papa Francesco è anche questo. Un papa che a tratti torna all’antico e ridice i precetti della Chiesa di sempre. Come non abortire. O per dirla con le sue parole agli stessi giovani di Torino: non ‘uccidere i bambini prima che nascano’. La grande stampa minimizza o tace, quando Francesco si distacca dall’immagine sua dominante, di pontefice permissivo sulle materie che fino a pochi anni fa la Chiesa definiva ‘non negoziabili’. Eppure sono fin troppe, almeno un centinaio, le volte in cui se n’è distaccato, anche in circostanze solenni come ad esempio a Strasburgo davanti al parlamento europeo, quando condannò la logica dello ‘scarto’, dell’eliminazione di tutte le vite umane che non sono più funzionali, ‘come nel caso dei malati, dei malati terminali, degli anziani abbandonati e senza cura’. È quella che lui usa definire ‘eutanasia nascosta’”.

Se Magister può riconoscere, nonostante le critiche che quotidianamente rivolge al Papa, che Francesco è aderente alla tradizione, che non ha rinunciato ai “valori non negoziabili”, perché Valli non se ne accorge? Perché gioca a fare del Papa il padrone del mondo, servo dei poteri del mondo, la cui opera è lo svuotamento delle chiese? Un modernista sul crinale dell’eresia. Questo non è serio, e nemmeno giusto. Un vaticanista, cattolico o meno, ha il dovere di documentarsi, di studiare il pensiero del Papa. Diversamente scrive favole che, rivolgendosi a lettori adulti, alimentano risentimenti, sospetti e denigrazioni.

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