Gerusalemme: centro del mondo. Non per niente il gran padre Dante, fedele ai quadri della cultura enciclopedica del Medioevo, collocava la città fra tutte più “santa” al cuore delle terre abitate dell’emisfero nord del pianeta, al di sopra della voragine infernale scavata nei meandri del sottosuolo e agli antipodi esatti della montagna del Purgatorio. Era con ogni probabilità nei dintorni che egli immaginava tracciata la via per scendere fino alla porta di accesso ai regni dell’oltretomba. Ancora oggi, del resto, il Catholicon dei greci ortodossi nella basilica del Santo Sepolcro custodisce un vaso di marmo con una pietra nera, al centro di un segno di croce, che rappresenta fisicamente l’Omphalos, cioè l’ombelico del globo. Ed è in effetti negli spazi circostanti che tradizioni antichissime distribuiscono i luoghi in cui il Figlio di Dio fu innalzato sulla croce, deposto e chiuso nella prigione della tomba, per poi risorgere a nuova vita: prodigioso teatro di inizio di un corso inedito nella vicenda dell’umanità intera, non a caso fatto coincidere con l’area che avrebbe ospitato, fin dagli esordi dell’esistenza umana nel mondo, la tomba del progenitore Adamo. Tutto si riconnetteva nella solidarietà di un’unica storia della salvezza, spinta dal sacrificio di Cristo fino a riscattare dal suo interno il destino di sofferenza e di morte del Vecchio Uomo.



C’è qualcosa di misteriosamente provvidenziale nella forza di attrazione che Gerusalemme ha esercitato su tutte le religioni monoteiste del mondo mediterraneo. Prima ancora della comparsa della nuova fede cristiana scaturita dal superamento del giudaismo, la potenza calamitante di Gerusalemme si era manifestata in modi assolutamente evidenti, segnando in modo radicale il destino del popolo eletto. Per stare in piedi e resistere, aveva assoluto bisogno di un fulcro, quindi di legarsi alla generosa fecondità protettiva di quella che avrebbe dovuto essere la città-madre per eccellenza. Alla conquista dei rilievi su cui essa è adagiata non poterono sottrarsi gli ebrei di Giuda e Israele sotto la guida del re Davide, e sull’altura del monte Moriah che la domina a est il successore Salomone costruì il primo Tempio dell’Antica Alleanza. 



Per consentire questo, era stato necessario reimpadronirsi dello stesso luogo che aveva visto Abramo disporsi a compiere il sacrificio di Isacco per obbedienza al volere divino (ma si narrava che già il patriarca Noè lo avesse scelto per immolare le sue offerte al Dio onnipotente dopo la fine del diluvio). Si ritornava così sempre all’unico punto da cui tutto aveva tratto origine e aveva cominciato a svelarsi il senso del cammino umano nella storia del mondo. 

La stessa cosa furono indotti a fare, secoli dopo, i credenti della religione islamica, subito a ridosso della morte del fondatore Maometto. Nella spianata dell’antico Tempio distrutto identificarono l’approdo del fantastico trasporto in volo del Profeta dalla Mecca, in una sola notte, a cavallo di Buraq, il destriero alato con volto di donna messo a disposizione dal cielo, grazie al quale Maometto poté poi spiccare il salto che lo condusse, dalla sommità del monte, al mistico viaggio di ascesa attraverso le sfere dei pianeti, fino alla visione paradisiaca di Dio. 



E per consacrare la memoria dell’evento che, agli occhi dei fedeli musulmani, sanciva il privilegio indiscutibile della loro guida politico-religiosa, sulla spianata si costruì la moschea “Ultima” o “Estrema” (al-Aqsa), dirimpetto alla straordinaria Cupola della Roccia che, con il suo dorato splendore, troneggia ancora oggi su tutto il complesso della moderna Gerusalemme. La roccia che la Cupola contiene al suo interno è sempre la stessa su cui si crede che Abramo abbia dato prova della sua disponibilità a rendersi docile strumento dei piani di un Altro che lo sovrastava.

Questa forza di suggestione dei luoghi santi resta un tesoro condiviso in fragile condominio fra tante identità diverse che ne sono catturate. Fu così fin dai primi istanti in cui la fede cristiana cominciò a prendere forma nel mondo antico, e così è rimasto fino a oggi, in un intreccio diventato sempre più inestricabile con l’andare del tempo. Nelle terre di Palestina, la Chiesa delle origini fissò la precisa localizzazione di ognuno degli episodi che costellarono l’inizio della Nuova Alleanza di Dio con il genere umano, abbracciato ormai nella frastagliata ricchezza delle sue componenti. Da Costantino in poi, i punti di memoria e le aule di preghiera domestica si trasformarono in basiliche e chiese sempre più sontuose. Gerusalemme e la Terra Santa presero così a maturare la loro inarrestabile capacità di richiamo su tutti i popoli dell’ecumene via via cristianizzato: dal centro e dalle varie periferie dell’Impero romano così come da tutta l’area bizantina orientale, dai margini estremi dei territori armeni fino alle propaggini lontane del mondo copto ed etiope si misero in moto i flussi di un pellegrinaggio che a volte era senza ritorno, punteggiato dall’insediamento stabile dei cristiani forestieri nei diversi luoghi della vita di Cristo, dalla fioritura di centinaia di eremitaggi nelle solitudini del deserto, dall’importazione nelle contrade di origine di notizie, racconti, reliquie, modelli architettonici e artistici da riprodurre per ricreare nei diversi ambiti del continente euro-afro-asiatico i segni visibili di un desiderio di immedesimazione con la realtà concreta dei fatti umani attraverso cui si era aperta una strada per la redenzione di Cristo. Dall’imperatrice Elena lanciata alla ricerca dei resti della vera croce alla pellegrina Egeria cui dobbiamo una delle prime descrizioni dei luoghi della memoria cristiana nelle terre di Palestina, a san Girolamo che chiuse la sua esistenza di erudito penitente a Betlemme, consumandosi nella traduzione della Bibbia trasportata nella lingua d’uso allora trionfante nel mondo sottoposto al dominio di Roma, coinvolgendo con il procedere dei secoli una molteplicità di forze diverse e tante figure anonime o del tutto minori, si susseguirono viaggi, esplorazioni e ricerche mai interrotti, segno di un tenace attaccamento amoroso alla matrice da cui aveva preso alimento l’intera storia della salvezza, che premeva per essere reso sempre più consapevole, diffuso e incisivamente universale. 

I fatti successivi della storia non risparmiarono sciagure e distruzioni. Dove i segni cristiani andarono dispersi e finirono magari cancellati, prima o poi li si rimpiazzò con ostinazione. Ci furono anche fenomeni di resistenza capaci di battere le forze ostili della natura e la violenza degli uomini. L’epoca crociata, al culmine della rinascita economica e sociale del mondo urbano e degli stati cristiani dell’area occidentale, segnò la momentanea vittoria di una volontà di recupero sfociata però anche in operazioni di conquista e di assimilazione alla fine controproducenti, rigide e intransigenti tanto quanto il dispotismo islamico che miravano a contrastare.

Progressivamente sconfitta sul piano politico-militare l’ambizione annessionista delle crociate, i flussi di pellegrinaggio continuarono, in mezzo a mille difficoltà e a pericoli di ogni genere, per tutta l’età moderna, sostenuti dalla presenza capillare dei francescani e di altre forze della Chiesa latina da una parte, dall’altra dalle presenze monastiche e sacerdotali delle comunità di rito orientale e del mondo bizantino e più in generale ortodosso. La fiamma che bruciava sotto una coltre di cenere non si spense mai; mai si spezzò il cordone ombelicale che teneva unito il corpo della cristianità con il grembo che aveva generato e nutrito la sua fede.

L’evoluzione in senso statuale moderno dell’Impero ottomano, procedendo verso la fine della sua esistenza e il suo smantellamento novecentesco, così come la crescente intensificazione dei rapporti di scambio reciproco con l’Occidente cristiano, per esempio in direzione del mondo tedesco, hanno favorito, negli ultimi due secoli, il rafforzamento del movimento di sistole e diastole che teneva unita la Terra Santa con l’organismo eterogeneo delle varie comunioni di fede sparse in tutto il mondo contemporaneo. Si è fatto sentire anche il beneficio del timido avvio di una esigenza di convivenza più tollerante tra fedi e ideologie di segno radicalmente alternativo.

Se il Kaiser di Germania Guglielmo II poté essere accolto trionfalmente dal sultano di Costantinopoli in occasione della sua visita alla Città Santa del 1898, per cui si giunse persino a demolire una porzione delle mura della Città Vecchia aprendovi un varco che lasciasse agevolmente transitare i carri del corteo imperiale (e il Kaiser ricambiò anche acquistando a sue spese lotti immobiliari e costruendo nuove chiese), ancora più numerose iniziative di restauro degli edifici antichi, sistematici scavi archeologici e il varo di nuove imprese edilizie poterono promuovere i francescani della Custodia di Terra Santa per tutto il Novecento. Quegli edifici e quelle strade che hanno visto dipanarsi l’entusiasmante avventura della vita di Cristo restano in attesa di chiunque voglia reimmergersi in tutto il loro spessore di nitido segno oggettivo che indica un percorso da rendere dimensione costitutiva del proprio io: del cuore e della memoria.

Le pietre, lì forse molto più che in ogni altro contesto, sono indizi eloquenti che aspettano solo di essere visti e toccati per tornare a far risuonare il messaggio di cui sono impregnati.