“La poesia, come il soffio del vento, va dove vuole e la si può trovare dove capita, anche in una stretta di mano”. Alla vigilia dei suoi novant’anni Giampiero Neri pubblica Via provinciale (Garzanti), un libro terso, compatto, ispiratissimo, che ritorna sui grandi motivi della sua ricerca: l’origine del Male, i labirinti della memoria, l’infanzia negli anni Trenta, il biennio 1943-1945, il senso profondo del dolore e dello scrivere.



Nelle prose liriche di Via provinciale Neri si trasforma in un maestro Zen. Detesta la retorica, i narcisismi dei letterati o i tic del nostro tempo accelerato. La ricerca della verità è urgente come mai: Neri vuole acqua sorgiva, autori e riferimenti che possano orientare verso la vita autentica. Il suo bastone di rabdomante inizia così a tremare di fronte al grande libro della Natura (il suo bestiario è sempre più ricco, incontriamo: uccelli, leopardi, cavalli, maiali, cavallette, aquile, oche, bisce, persino uno sfeco, “pericoloso insetto simile a una vespa”) e di fronte ai Grandi scrittori del passato, magari esclusi del Canone, come Fenoglio, Grossman o persino come Collodi: 



La storia di Pinocchio è terribile e solo per caso ha un finale ottimista. Collodi aveva chiuso il racconto, a puntate su un giornale, con il burattino che penzolava da un ramo della grande quercia. Ma i suoi piccoli lettori avevano protestato, non accettavano l’interruzione della storia. Per conto loro avevano già capito che quella di Pinocchio era una storia immortale…” (p. 42).

Così Neri spiega invece la sua passione per Vasilij Grossman:

Una delle poche consolazioni che si hanno a leggere le 827 pagine di Vita e destino di Vasilij Grossman è pensare di leggerlo una seconda volta. Non tanto e non solo perché con la prima non si è capito abbastanza, ma perché con Vita e destino si ha l’impressione di essere a un passo dalla comprensione di tutto. L’impressione è entusiasmante. Quando mai ne abbiamo avuta una uguale? Grossman sembra mettere mano a cielo e terra…” (p. 43). 



Chi ama la poesia di Giampiero Neri sa quanto sia caro all’autore il tempo del Liceo (titolo della sua seconda raccolta, correva l’anno 1982). In Via provinciale abbiamo un’intensa sequenza di “fotografie” dedicate a quel tempo sospeso che arricchiscono di nuovi dettagli quanto avevamo appreso nei libri precedenti: c’è “il palazzetto moresco del Comune”, “il milanese piccoletto con il naso schiacciato”, “la bionda insegnante di latino, l’ostinata maestra di musica e lo stesso preside, che voleva andare con Don Zeno, nel paese di Nomadelfia”. 

Per Neri scrivere significa prestare attenzione alle cose minime, ai dettagli, ai frammenti, magari al mondo dei vinti (“si riflette sulla sconfitta, non sulla vittoria”). A Neri interessa senz’altro più Ettore che Achille e a p. 28 troviamo ancora una volta testimoniata la sua fedeltà a Dino Campana, altro “irregolare” sconfitto dalla Storia.

In Via provinciale Neri racconta storie e personaggi con la consumata arte della reticenza, gli servono davvero poche “pennellate” per rialzare dalla memoria il “mondo di ieri”:

Le vecchie bottiglie di fernet, anni trenta, portavano sull’etichetta l’indirizzo della ditta, via del Broletto, vicino alla chiesa di san Tomaso. Ma un’altra iscrizione attirava la curiosità dei più giovani, che l’andavano ripetendo a voce alta: “Combatte lo spleen, patema d’animo”. Erano gli anni della grande depressione, della crisi di Borsa, dei salti dalla finestra” (p. 14).

Neri è un contemplativo che sa trovare epifanie anche nel cuore caotico della metropoli, che sa fermarsi quando “tutto scorre”, per restare a un’espressione cara a Grossman. Possiamo allora concludere questo breve viaggio nel suo nuovo libro osservando come si trasforma agli occhi del poeta l’ordinaria e milanesissima piazza Missori: 

Di tanti cavalli e cavalieri che hanno monumenti nelle nostre piazze, almeno uno si è salvato dalla retorica, quello del generale Missori. Non tanto per il generale, quanto per il cavallo. Il generale ha la sciabola spezzata, simbolo del valore sfortunato, ma guarda fieramente in avanti. Il cavallo ha la testa bassa e l’aria di cercare qualcosa, un ciuffo d’erba o un posto dove andare a riposare. Pur essendo una bella statua, anzi la più bella che si conosca fra quelle numerose del suo genere, è rimasta in ombra. Nemmeno il suo autore ha avuto una sorte migliore, un Ripamonti, forse lo stesso della via omonima. Insomma un nome oscuro. Eppure c’è qualcosa di umano in quel cavallo, che non finisce di attirare chi lo guardi, anche solo di sfuggita, passando in tram da piazza Missori” (p. 35).