Sono molti ad essersi occupati di Claudia Procula. Il primo è l’evangelista Matteo che, pur non nominandola, parla di lei nel suo racconto della passione di Gesù. Poi esegeti, studiosi dei vangeli apocrifi, scrittori ne hanno precisato la figura, chi attraverso la filologia, chi rileggendone la vicenda che la lega per sempre al Salvatore. Le scrittrici in particolare sembrano essere state molto interessate alla moglie di Ponzio Pilato: le hanno dedicato un romanzo Elena Bono e Antoinette May. Ancor prima Gertrud von le Fort, il cui racconto del 1931 segue di pochi anni la conversione dell’autrice dalla fede luterana a quella cattolica. Per il lettore italiano questo testo viene pubblicato decenni più tardi, in un volume che raccoglie altri due racconti, l’uno dedicato a Bianca de la Force, l’ultima delle Carmelitane di Compiègne uccise durante la Rivoluzione francese, l’altro alla figlia di Farinata, Bice degli Uberti.



Le tre protagoniste, così diverse per contesto storico e geografico, appaiono simili nel loro ruolo femminile di mitezza e di decisione, anche a dispetto della loro fragilità. La figura della donna è centrale in tutta l’opera della scrittrice tedesca, che aveva fatto suo il motto di Leon Bloy: “Più una donna è santa, più ella è donna”.



Lo scritto consiste in una lunga lettera scritta a una matrona romana da Prassede, la liberta greca di Claudia Procula e prende avvio dal sogno della sua signora di cui riferisce Matteo, parlando dell’interrogatorio di Pilato a Gesù: “Mentre egli sedeva in tribunale, sua moglie gli mandò a dire: ‘Non avere a che fare con quel giusto; perché oggi fui molto turbata in sogno, per causa sua’” (Mt. 27,19). 

La scrittrice ambienta questo sogno premonitore in vari luoghi di preghiera, in cui una folla di gente pronuncia ben chiare le parole: “Patì sotto Ponzio Pilato, fu crocifisso, morì e fu sepolto”. La donna cerca di fuggire da quella ossessione: “Mi sembrava di correre da secoli, e di dover continuare a fuggire attraverso i secoli: mi vedevo inseguita e perseguitata fino alla fine dei tempi da quel nome, tanto caro al mio cuore”. Così manda Prassede da Pilato, ma vana è l’ambasceria. Claudia Procula assiste al processo: “Lo sguardo di quell’innocente condannato l’aveva ferita e trasformata per sempre. Eppure quello sguardo non era caduto direttamente su di lei, essendo rivolto esclusivamente a suo marito; ma appunto per questo l’aveva colpita, ed ora si vedeva di che cosa fosse capace il suo amore: quel giorno ella prese su di sé la colpa del marito, senza volerlo, semplicemente perché il suo amore era uscito dai limiti in cui prima era costretto”.



Lui dimentica quella sentenza. Lei ricorda e tace, con una silenziosa dedizione che a volte rasenta il dolore. Sembra che l’immagine di quel condannato si erga tra loro. 

Anche dopo il ritorno a Roma nel rapporto tra i due c’è qualcosa di sospeso: lui si gode la vita tra il circo e le feste, in un Impero che si avvita sulla sua corruzione, lei al suo fianco: “Tutto in lei faceva pensare ad una persona che ritenga suo dovere svegliare un dormiente, ma esiti al pensiero di disturbarne il riposo. Suo marito pareva indovinare in un certo senso il processo mentale che la travagliava; per un attimo sembrava che si avvicinasse fiducioso e con passo risoluto ad una porta che bisognava aprire, ma prima ancora di averla raggiunta tornava bruscamente sui suoi passi”.

Passano gli anni e nulla sembra mutare. Sfiorisce la bellezza di lei, lui si accompagna ad altre donne. Ma entrambi non pensano al divorzio: qualcosa che in apparenza li separa, li tiene invece profondamente legati. Claudia, come molti a Roma, si allontana dal culto ufficiale degli dei e frequenta i misteri orientali, interroga la sibilla cumana, cerca un approdo alla sua inquietudine. E così incontra la prima comunità dei cristiani, ma non lo sguardo misericordioso del Nazareno che l’accompagna da tutta la vita. Sono i tempi di Nerone. I cristiani sono accusati dell’incendio di Roma e Pilato viene incaricato di perseguirli. Invano sua moglie cerca di trattenerlo, ritornando finalmente in modo esplicito sul processo a Gesù e rivelando il significato dello sguardo che da allora aveva rivolto a suo marito: lo sguardo di un amore purificato e innalzato a quella pietà che una volta, davanti al Pretorio di Gerusalemme, si era riversata sul mondo intero.

Ma anche questa volta il suo intervento non è sufficiente a fermare Ponzio Pilato. Fedele al comando dell’Imperatore, esegue l’ordine di arresto dei cristiani. Tra loro, per un capriccio di Nerone, muore anche Claudia, a cui il battesimo era stato rifiutato dal diacono cristiano per il suo legame con il procuratore che aveva condannato Gesù. Cristo stesso le appare in sogno mentre si trova in prigione e con lo stesso sguardo che aveva rivolto allora a Pilato le promette, per il martirio cui va incontro, la salvezza per entrambi.

Gesù, lo sconfitto, vince su tutti i legalismi, le violenze e i dolori della terra. Ma ha bisogno dell’esile, coraggiosa figura di una donna per compiere la sua opera.