E’ morto ieri, all’età di settantasette anni, Tzvetan Todorov (1939-2017), uno degli intellettuali europei più autorevoli e osannati, ma, paradossalmente, tra i meno ascoltati in questi anni in cui la deriva del pensiero verso forme di negazione della dignità dell’uomo e la sua involuzione verso l’incapacità dell’accettazione dell’altro diventano la cifra della società contemporanea. 



L’ultimo libro del pensatore nato in Bulgaria, ma stabilmente in Francia dai tempi della sua collaborazione con Roland Barthes, è un inno ai valori della libertà e della giustizia attraverso la celebrazione di personaggi che hanno affrontato il supplizio e la morte per sostenere fino in fondo questi valori: Resistenti è il titolo di questo ultimo atto di un percorso che si snoda attraverso tutta la cultura del ‘900 e che si chiude, proprio attraverso il ricordo delle esperienze di Etty Hillesum, Boris Pasternak, Nelson Mandela e altri, con il monito che Todorov ha sempre lanciato dalle pagine dei suoi libri e in tutte le occasioni pubbliche in cui è stato protagonista. Monito che troviamo espresso già mirabilmente nel suo saggio del 2007 La letteratura in pericolo, laddove ricorda che anche la letteratura, le grandi opere dell’arte devono essere incluse “nel grande dialogo tra gli uomini, iniziato nella notte dei tempi e a cui ciascuno di noi, per quanto insignificante sia, prende ancora parte”. 



Appena ventiquattrenne, Todorov era approdato a Parigi proveniente da un paese nel quale il regime comunista aveva annientato ogni forma di libertà intellettuale. Egli stesso racconta la sua esperienza di studioso di libri e di letteratura nella sua patria dominata dal totalitarismo comunista: scelse di sottrarsi alle esigenze dell’ideologia dominante, occupandosi nella sua tesi di quegli aspetti che non avessero nulla a che vedere con l’ideologia, cioè di tutto quello che nelle opere letterarie riguardasse il testo in quanto tale e le sue forme linguistiche. Fu una scelta che lo salvò dalla censura e che lo portò ad occuparsi di stile, di composizione, di forme narrative, in una parola di tecnica letteraria, costringendolo a tralasciare ciò che costituisce invece il vero valore della letteratura: il pensiero, i valori espressi da ciascuna opera, il suo significato più profondo. 



Una volta in Francia, egli combatte con tenacia le idee del formalismo che aveva contribuito a diffondere, e sposta progressivamente la sua riflessione su aspetti come il rapporto con l’altro, tema dominante de La conquista dell’America del 1982, in cui mette sotto accusa il pensiero colonizzatore; del 1991 è Di fronte all’estremo in cui mette in guardia rispetto agli orrori di ogni totalitarismo che considera ancora come un pericolo incombente nella nostra società, nient’affatto sconfitto, proprio perché lo ritiene un prodotto perverso della società di massa, le cui potenzialità disumane non sono affatto venute meno. 

In ogni suo libro, e segnatamente e compiutamente ancora nell’ultimo già citato, Todorov sottolinea con forza il valore della volontà e della responsabilità individuali, anche nelle situazioni più spaventose di abuso e oppressione.  

Anche sul tema del terrorismo si era espresso con chiarezza, non dimenticando mai che il nemico non era l’altro, che il male abita nel cuore dell’uomo, di ogni uomo e che lì dove si trova va combattuto da ciascuno di noi: “Il nemico è anche interiore, i nostri demoni ci spingono ad assomigliare all’avversario per combatterlo meglio. Ma terrorizzare i terroristi significa diventare come loro”. Ciò che Todorov diceva della letteratura, parlandone come di un’esperienza “il cui ultimo orizzonte non è la verità, ma l’amore”, riassume in ultima istanza il suo inesausto lavoro di ricerca orientato a salvaguardare, in ogni ambito della sua produzione, le forme più alte del rapporto tra gli uomini, a difendere il valore assoluto di ogni singola persona.