L’ultimo lavoro di Lauretta Maganzani (L’arte racconta il diritto e la storia di Roma, Pacini giuridica, Pisa 2016, pp. 406), originale e raffinato, oltre che di piacevole lettura, costituisce un esempio e un’indicazione metodologica per un’idea che sta ormai diventando un ideale: quello di un esperto di diritto romano, e, in generale, di un giurista, che sia anche un umanista, un intellettuale consapevole del fatto che il sapere, nello specifico quello antichistico, pur se affrontato nelle diverse discipline e ambiti scientifici, rappresenta un’unità cui quei mille rivoli vanno ricondotti. L’autrice è una romanista molto nota: professore ordinario di diritto romano all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, la sua formazione umanistica ad ampio spettro, oltre che la sua passione didattica, ha suscitato questo esperimento, interessante e inedito: perché per la prima volta, in queste pagine, troviamo la storia, non solo e non strettamente giuridica, di Roma, ripercorsa attraverso le sue tappe salienti e i suoi personaggi emblematici (da Romolo a Numa Pompilio e Tarquinio Priscio sino a Costantino, Galla Placidia e Giustiniano, passando per le figure più note della storia repubblicana e imperiale, Coriolano, Furio Camillo, Atilio Regolo, e poi Mario e Silla, Cicerone e Catilina, Antonio e Cleopatra, Augusto e la sua vivace e sfortunata figlia Giulia, Germanico, Tiberio e Caligola), affiancati a un apparato iconografico che contempera capolavori di artisti universalmente noti (per esempio Raffaello, Giulio Romano, Giambattista Tiepolo, David, Turner, Delacroix) e altre opere di pittori meno immediatamente familiari al vasto pubblico, che rivelano un gusto più ricercato e sottile. Fra questi ultimi figurano, a puro titolo di esempio, Jean Bardin, Pierre Bouillon, Antoine Caron, Eustache Le Seuer, Giovanni Antonio Pellegrini, Ferruccio Ferrazzi, Alcide Segoni. 



La rassegna delle immagini chiaramente risente di una triplice impostazione soggettiva: prima di tutto, quella della fonte antica che ci ha trasmesso l’episodio; poi, quella del pittore, che si rifà alla fonte, ma, spesso, se ne discosta anche, preferendo seguire la sua immaginazione; e poi, ovviamente, l’impostazione e la forma mentis dell’autrice e dei suoi collaboratori. 



Il volume presenta quindi immagini di tappe salienti della vita politica o civile dell’Urbe, mentre minore spazio è riservato alle grandi scene belliche o ai monumenti possenti o alle rovine della grandezza romana, che tanta parte hanno avuto in certa pittura di impronta vedutistica. E nemmeno sono qui centrali gli episodi relativi ai momenti-cardine della storia del diritto romano in senso stretto, sia esso pubblico o privato: ciò è del resto naturale, visto che l’attenzione del pittore è giocoforza attirata dalle vicende, reali o leggendarie, tramandate dalle fonti letterarie ritenute più idonee a colpire l’immaginazione del committente e del pubblico e dei destinatari; mentre invece i soggetti propriamente giuridici erano di solito riservati alla decorazione di ambienti come tribunali, corti di giustizia e aule giudiziarie. 



Ma non per questo gli episodi qui rappresentati sono meno interessanti agli occhi dei giuristi, perché nessun aspetto del vivere comune è più influenzato di quanto non lo sia il diritto pubblico e privato dal costume, dalla morale, dalla mentalità di un’epoca. Proprio per questo lo storico e il giurista non solo non possono non tenere conto l’uno dell’altro, ma nemmeno possono restare indifferenti di fronte alla rappresentazione di episodi centrali nella coscienza collettiva di un popolo, benché essi siano talvolta catalogabili alla voce “leggenda”: come sottolinea Lauretta Maganzani, il fatto, ad esempio, che il suicidio di Lucrezia — un soggetto dalla cospicua fortuna iconografica — non si sia davvero verificato, nulla toglie al suo valore documentario, sia in relazione al rivolgimento costituzionale che sottende (cioè il passaggio dalla monarchia alla repubblica), sia alla mentalità di cui è espressione.

L’arte racconta il diritto e la storia di Roma è un libro importante: importante per l’impianto, nuovo e originale; importante per il metodo applicato nello scriverlo, e perché è esito di un percorso didattico in cui l’autrice ha attivamente coinvolto i suoi studenti, ora laureati o dottorandi; e poi, importante perché Lauretta Maganzani è una giurista fortemente convinta che quel che fa la differenza — anche in un campo di studi così doverosamente tecnico come il diritto — è non solo la tecnicizzazione esasperata, l’iper-specializzazione ultra-settoriale, ma anche l’importante consapevolezza che tutti noi abbiamo bisogno dell’umano e dell’Umanesimo. Del resto, anche una grandissima papirologa quale fu Orsolina Montevecchi (che aveva studiato ed edito moltissimi papiri di argomento giuridico, i quali ci restituiscono la materialità e la quotidianità del vivere antico) amava ripetere che il filologo e il letterato hanno bisogno del diritto e dei giuristi, perché essi ci consentono di entrare in un ambito di pensiero e di azione che ha segnato fortemente la civiltà antica, greca e romana.

Mi piace concludere, come fa l’autrice nella sua ampia Introduzione (p. 15), dedicata a tutti coloro che alle humaniores litterae hanno dedicato la vita, con le parole con le quali Rutilio Namaziano, all’inizio del V sec. d. C., apre il poemetto De reditu suo: “Quid longum toto Romam venerantibus aevo? / Nil umquam longum est, quod sine fine placet” (“È troppo lungo venerare Roma tutta una vita? / Non dura mai troppo a lungo quel che piace senza fine”).