In occasione della Giornata mondiale della poesia (21 marzo 2017), va detto prima di tutto che la poesia prospera, in Italia e altrove; e prospera anche la ingiustamente bistrattata critica della poesia. Ma l’epigrafe che apre il numero di una rivista internazionale di poesia giunta ormai, nel corso di una storia complessa, al suo ventesimo anno di vita (“Italian Poetry Review”, ndr) dice che questo numero “è dedicato a tutti i poeti in ogni luogo che sono esposti alla censura e a pericoli ancora più gravi nella loro lotta per la libertà d’espressione”; e qui si apre un vasto problema.



La libertà d’espressione, prima di rivolgersi più o meno polemicamente al mondo esterno, alla società, dovrebbe nascere da un lavoro di scavo interiore. Altrimenti “la lotta per la libertà d’espressione” rischia di riprodurre alcuni degli elementi negativi delle forze che a essa si oppongono. Liberare l’espressione significa prima di tutto rispettare l’umano — ciò che nell’uomo è propriamente persona — in sé e negli altri, con tutte le loro idiosincrasie.  



E’ bene anche guardarsi dall’illusione abbastanza patetica, molto diffusa in Occidente, che i poeti i quali hanno la fortuna di vivere in regimi (più o meno) democratici coltivino con particolare energia la libertà d’espressione, così affrontando rischi. In un suo saggio del 1937 (Miseria e splendore della traduzione), il grande filosofo spagnolo José Ortega y Gasset scriveva: “Non è forse […] verosimile che l’intellettuale esiste per contraddire l’opinione pubblica, la doxa, scoprendo e sostenendo, in opposizione al luogo comune, l’opinione vera, la paradoxa? Può accadere che la missione dell’intellettuale sia fondamentalmente impopolare”. Oggi noi possiamo dire che è un fenomeno chiaro e universalmente diffuso, quello secondo cui la missione dell’intellettuale (nella limitata misura in cui tale categoria ha un senso oggi) è “fondamentalmente impopolare”. 



Ma ciò che è veramente preoccupante è che la maggior parte degli intellettuali in Occidente, compresi i poeti, hanno da tempo scoperto il trucco per diventare essenzialmente “popolari” (nei loro vari ruoli di maîtres à penser, pundits, grilli parlanti e simili), pur atteggiandosi spesso a vittime incomprese: hanno assunto la posa di sostenere come paradoxa quella che in realtà è una doxa. Ecco la trappola celata sotto l’etichetta, ormai abbastanza nauseante, della “correttezza politica”. Che sarebbe ora di chiamare con il suo vero nome: conformismo repressivo; e che, come tale, tende al totalitarismo delle idee, ovvero a una sorta di “terrorismo” ideologico: morbido certo (rispetto al terrorismo “duro”), ma che tende a schiacciare le possibilità di esprimersi liberamente. I poeti, in Italia come nel resto dell’Europa, come negli Stati Uniti e altrove, tendono a sostenere tutte le cause “corrette”, dunque a cantare gli elogi della doxa pur fingendo (come si è detto) di correre i rischi della paradoxa. I quali sono i rischi di Speak truth to power, dire la verità in faccia al potere (per citare uno dei motti più rappresentativi della religiosità quacchera). 

Quali sono stati i casi, nel nostro presente millennio, in cui un poeta italiano ha causato scandalo — o se è per questo, quali sono stati i casi nel secolo passato, dopo David Maria Turoldo, Giovanni Testori e Pier Paolo Pasolini (ma quest’ultimo, post mortem, è ormai divenuto un’icona del conformismo repressivo)? Di fronte a tutto ciò è possibile una risposta dotata del finto fascino scientifico degli apprezzamenti sociologici: i poeti non possono più dare scandalo perché nella società attuale non contano più nulla. Peccato che questa rassicurante spiegazione sia smentita dalla grande diffusione e dalla permanente fascinazione di cui gode oggi il fenomeno della poesia. La verità forse è un’altra: troppi poeti sono stati essenzialmente intimiditi dalla doxa (che consente l’accesso alle gloriuzze letterarie), e scoraggiati dall’esprimere veramente la paradoxa. Allora: è aperta la ricerca dei poeti “paradossali”.

(Estratto dall’editoriale del prossimo numero di “Italian Poetry Review” – IPR)