Non sono poi così numerose le occasioni di parlare di don Luigi Sturzo, nonostante sia stato sicuramente uno dei più grandi sociologi e politici del Novecento. Forse è giunto il tempo per fare un bilancio in quello che molti, in primis il Papa, chiamano un cambiamento d’epoca. Proprio l’intuizione e il giudizio del prete siciliano possono avere delle analogie con il crollo delle evidenze che, dopo la Grande Guerra, ha caratterizzato la nostra società. Scopriamo quindi l’attualità di un uomo che desiderava rimettere la vita al centro della politica (“La politica è vita nel senso più completo della parola”). Ne parliamo con monsignor Michele Pennisi, arcivescovo di Monreale e presidente della commissione storica per la beatificazione di don Luigi Sturzo. Pennisi sarà a Milano questa sera, ospite del Centro Culturale di Milano nell’ambito del ciclo di incontri su “Il crollo delle evidenze e la nascita di cose nuove”. 



Proprio a Milano Sturzo fondava il Partito Popolare Italiano con l’appello “agli uomini liberi e forti” lanciato dalla radio nel 1919: “Ci presentiamo nella vita politica con la nostra bandiera morale e sociale, ispirandoci ai saldi principi del Cristianesimo che consacrò la grande missione civilizzatrice dell’Italia”. Da dove nasce l’impegno di Sturzo?



L’impegno sociopolitico di Sturzo nasce innanzitutto da un’esigenza di carattere pastorale. Quello di far sì che la fede cristiana non rimanga chiusa nelle sacrestie, ma possa esercitare il suo influsso in tutta la sua società. Una società che stava cambiando, in cui ormai si affermava la democrazia, in cui il popolo era un nuovo soggetto e in cui stavano sorgendo i partiti di massa. Un’esigenza pastorale che è stimolata dalla Rerum novarum: Sturzo è colpito dell’attualità e dell’urgenza di mettere in pratica i contenuti dell’enciclica quando sorgono in Sicilia i Moti dei lavoratori, tra il 1893 e il 1895, e a Milano i moti che porteranno all’arresto di don Albertario. Sturzo capisce che i cristiani non possono stare chiusi nelle sagrestie, ma devono rivendicare una soggettualità sociale culturale e polita per contribuire al Paese che iniziava a cambiare velocemente. 



Sturzo disse: “Introduciamo l’autorità della morale nel sistema della politica, i valori della coscienza della vita privata nella vita pubblica e il rispetto del prossimo nel dominio delle relazioni politiche ed economiche. Questa è vera democrazia”. Il rispetto del prossimo, l’affermazione dell’altro “perché è” scaturisce dalla carità, e la carità cristiana introduce un fattore a volte scomodo in politica: la libertà. Possiamo dire che la carità e la libertà cristiana sono fondamenta essenziali al concetto e all’esperienza di democrazia? 

Sì, certamente. Don Sturzo già fin dall’inizio del suo attivismo scrive della volontà d’introdurre la carità nella vita politica. Ebbe anche un dibattito con il fratello Mario, di dieci anni più grande di lui e già vescovo di Piazza Armerina, perché il fratello, laureato in giurisprudenza, gli diceva che l’impegno politico poteva scaturire solo dalla giustizia e invece Luigi affermava che l’impegno politico deve scaturire da una carità. Carità intesa come regina di tutte le virtù, non come elemosina. E’ la carità di cui aveva già parlato Leone XIII, una carità legata anche al nuovo clima sociale in cui spirava il vento della libertà. Per Sturzo giustizia, carità e libertà sono dei valori che devono essere coniugati insieme, non presi in assoluto. 

Libertà e carità sono qualcosa di innato nell’uomo o va educato?

Don Luigi iniziò la sua attività politica quando si rivolse a lui un gruppo di operai volenterosi di essere parte attiva nella vita politica. Propose loro di dare inizio a una novità: sostituire ai partiti personali un partito fondato sul programma e sulla moralità. Vedendo gli operai affascinati da questa proposta originale, scrive di aver capito che le masse sono educabili. Capiamo allora che il problema è educare i giovani e il popolo a quelli che sono i valori cristiani, all’epoca sicuramente già presenti nella base popolare, ma che dovevano emergere e necessitavano di una educazione. 

Anche Pio XI affermava che “la democrazia sarà cristiana o non sarà”…

Questo in realtà lo ha affermato Leone XIII per la prima volta. Pio XI affermerà in modo molto chiaro che la carità è la virtù che deve reggere la politica. Sturzo basandosi su questa affermazione la rilancerà anche a livello europeo scrivendo un articolo sulla Nouvelle Revue Théologique in cui sostiene che l’impegno politico è un atto d’amore verso il prossimo. 

Basandosi sulla singolare convergenza fra il cristianesimo e ciò che è autenticamente umano, Sturzo invitava tutti i cristiani ad una difesa della democrazia e a una lotta contro tutte le forme di totalitarismo che andasse oltre una pura difesa degli interessi religiosi. Come, secondo lei, il pluralismo proposto da Sturzo ha qualcosa da dire anche alla politica di oggi?

Sturzo innanzitutto affermava che proprio in politica, affinché ci siano varie impostazioni, è necessario il pluralismo e i cattolici non ne erano esenti: si distingueva allora tra cattolici conservatori e democratici cristiani. Il pluralismo era importante anche nella vita sociale oltre che in quella politica. Sosteneva però che il pluralismo deve basarsi sui fondamenti comuni che sono i fondamenti che generano un’autentica democrazia. Questa si distingue dall’individualismo liberale e dalla massificazione socialista in favore di una politica che mette al centro la persona e il bene comune inteso non come il bene dello stato, messo in contrapposizione al bene della persona, ma come il bene comune che ha in sé il bene delle singole persone che devono essere protagoniste della vita politica. Inoltre per Sturzo fa parte della politica anche la lotta, nella quale però bisogna riconoscere pure il bene che c’è nell’avversario politico: in qualche articolo Sturzo vede come, mentre il liberalismo aveva accentuato la libertà e il socialismo la giustizia, le conquiste sociali e culturali non andavano assolutizzate e quindi bisognava coniugare insieme giustizia e libertà animate dalla carità. 

Che differenza c’è tra la posizione sturziana e il populismo da cui siamo avvolti?

Per Sturzo, perché si realizzasse una vera democrazia, una democrazia sostanziale e non soltanto formale, era necessario non il popolo generico, ma il popolo articolato che partiva dalla famiglia, dalle associazioni, dalle cooperative, dai comuni e dalle regioni. Desiderava una democrazia che valorizzasse le autonomie locali e il principio di sussidiarietà, in cui i singoli soggetti dovevano sentirsi protagonisti della loro vita e della loro sorte, non affidarsi a un capo che potesse risolvere i problemi come se avesse in mano una bacchetta magica. Sturzo credeva fermamente che la politica non può costruire il paradiso in terra — chi pensa questo in realtà costruisce l’inferno, come hanno dimostrato i grandi totalitarismi del XX secolo — ma egli lavorava per una democrazia partecipata, una democrazia plurale in cui sono tanti i soggetti che debbono convergere al bene comune della nazione senza ripudiare la dimensione internazionale. 

Quando si parla di democrazia ai giorni d’oggi si tende a pensare che il vero democratico è il relativista, mentre si taccia di essere antidemocratico chiunque affermi un assoluto. Secondo lei l’esperienza di Sturzo può parlare ai politici di oggi ed essere contributo ad una autentica democrazia che non rinneghi l’assoluto?

L’esperienza di Sturzo, ripresa anche da Habermas, è che non ci può essere vera democrazia senza un’apertura al trascendente. Per Sturzo il trascendente erano i principi e i valori cristiani e una democrazia che non metta al centro i valori trascendenti mette al centro l’ideologia e il tiranno, senza essere rispettosa nemmeno della dignità dell’uomo.

(Pietro Giuliani)

Mons. Michele Pennisi sarà ospite questa sera del Centro Culturale di Milano, dove parlerà sul tema “Don Sturzo, il popolo e la democrazia”. Ore 20.45, Auditorium del CMC, L.go Corsia dei Servi 4, Milano.