Come in altri romanzi simenoniani, anche nella Casa dei Krull l’azione nasce dall’arrivo in una situazione di stallo e di vischiosità di un personaggio, per qualche motivo, diverso dagli altri: così è il René protagonista di Faubourg, o per l’adolescente un po’ torbida che, rimasta orfana, sconquassa gli equilibri della famiglia che la accoglie nella Casa sul canale. Ma, nella Casa dei Krull, appena ripubblicato da Adelphi, oltre ad Hans, lo scioperato cugino tedesco che si presenta alla porta dei suoi parenti, diversi, in un certo senso, sono tutti i membri della famiglia: diversi perché, benché i Krull abbiano la cittadinanza francese, i probi piccolo-borghesi, abitanti della cittadina affacciata sul canale, li considerano sempre dei crucchi; diversi perché protestanti, fra una larga maggioranza di cattolici; diversi perché il capofamiglia, Cornélius, impagliatore di sedie, trasferitosi chi sa come, chi sa perché, proprio in quella cittadina piccola e pettegola, non ha mai voluto imparare bene il francese e vive trincerato nel silenzio del suo laboratorio, assistito solo da un operaio, gobbo e altrettanto silenzioso; diversi per l’aria equivoca che spira dal loro emporio-mescita, dove vanno a servirsi non i vicini, ma i cavallanti e i marinai di passaggio; diversi perché, nonostante Maria Krull, la moglie di Cornélius, ostenti una tetra e rigida moralità, per piccoli servizi e commissioni la donna si avvale di Pipì, un’alcolizzata che vive ai limiti della barbonaggine, ben al di fuori del rigido decoro imposto da Maria a se stessa e ai tre figli, proprio come fa la matriarca del Grande Male.
Le cose non possono così che peggiorare con l’arrivo di Hans: sedicente perseguitato politico (siamo negli anni Trenta, in Germania, e i campi di concentramento hanno da qualche tempo aperto i loro cancelli), il giovane è in realtà un cinico avventuriero, che non ci pensa due volte a sedurre la cugina Liesbeth, fiore di serra malaticcio e ipersensibile. I modi di Hans, chiaramente stranieri, e il suo atteggiamento volutamente svagato non fanno che attirare ulteriormente l’attenzione dei concittadini. Fino allo scoppio del dramma: un giorno, il cadavere della figlia di Pipì, Sidoine, viene ripescato dal canale: qualcuno l’ha violentata, percossa, spogliata. Nessuno viene arrestato, ma l’ostilità per i Krull aumenta: le ragazzine li dileggiano passando davanti al loro negozio, vengono lanciati sassi contro la vetrina dell’emporio, e compaiono le parole “A morte” e “Assassini” sulla facciata.
E poi, c’è Joseph, il figlio maschio di Maria e Cornélius: studente di medicina prossimo a discutere la sua tesi, tisico e sgraziato, è uno spilungone infelice e ombroso, cresciuto in solitudine, deriso e messo in disparte dai compagni e ossessionato dalle aspettative della madre. Per lui, tutto è già stato deciso: dopo la laurea, aprirà un ambulatorio in una casetta poco lontana dall’emporio, dove si trasferirà a vivere una volta sposata la fidanzata, la signorina Marguerite Schoof, rubizza e rotondetta, anch’ella di origine tedesca. Ma, più ancora che Hans, è Joseph l’autentica mina vagante: cresciuto convinto di “non essere come gli altri”, e che nessuno l’avrebbe mai accettato, la sera si aggira per il quartiere, con aria fra il bramoso e il vergognoso spia le coppiette che si appartano, segue le ragazzine che non osa abbordare.
Joseph e Hans sono due caratteri in fondo speculari, come spiega al futuro medico il cinico cugino. Se, infatti, il primo detesta essere diverso, l’altro esibisce questa sua diversità quasi con orgoglio beffardo, accentuandola volutamente: “Mi hanno sempre tenuto in disparte sin dall’asilo…”. “Io lo faccio apposta!”, dichiarò Hans. “Che cosa?”. “A essere diverso dagli altri! È per questo che gli altri mi rispettano… se fossi venuto a chiedervi educatamente ospitalità, confessando di non avere un centesimo e di non sapere più dove sbattere la testa ….”. E del resto Hans, con la perspicacia che connota gli avventurieri, che devono capire subito chi hanno di fronte, ha subito capito qual è stato l’errore dei Krull: essi non sono né abbastanza diversi, né troppo: “Non è perché siete stranieri (…) È perché non lo siete abbastanza!… O forse, perché lo siete troppo… (…) Non lo siete fino in fondo… Siete stranieri che si vergognano di esserlo, così come siete protestanti che si vergognano di esserlo…Venite a vivere qui e volete fare come la gente del posto… Scimmiottate le usanze locali, pur sapendo che non riuscirete mai a essere uguali a loro… E la gente se ne accorge… Scommetto che il 14 luglio tirate fuori più bandiere di tutti e al Corpus Domini spargete petali di rosa per la strada… Gli altri ce l’hanno con voi ancor più che se non faceste niente, che se teneste addirittura le serrande abbassate…”.
La situazione degenererà in una tragedia, che andrà a colpire, repentina, ma non proprio inaspettata, il vero anello debole della vicenda. Ma non manca, esattamente come nel Grande male, un colpo di coda nel finale, una sorta di postilla, anch’essa all’insegna della più totale incomunicabilità, che potrebbe avere come sottotitolo: “Alcuni anni dopo…”, ambientata in un caldissimo giorno estivo a Stresa (effettivamente Simenon soggiornò per qualche tempo sul Lago Maggiore, fra Stresa e l’Isola dei Pescatori): così, possiamo vedere come Joseph sia riuscito a entrare, forse, nei ranghi di quell’ordine borghese cui tanto agognava, mentre Hans, che, come tutti gli avventurieri, trova sempre come cavarsela, ha continuato le sue mirabolanti avventure per l’Europa.