Circolano già analisi preconfezionate sul voto francese per le presidenziali (primo turno il 23 aprile, scontato ballottaggio il 7 maggio). C’è chi dice che questa tornata elettorale sancirà una volta per tutte l’inettitudine di Marine Le Pen e del Front National a farsi forza di governo: magari in vantaggio d’un soffio al primo turno, ma poi destinati a soccombere contro il blocco repubblicano del secondo round. Molti si preparano a spellarsi le mani per Emmanuel Macron, il leader di “En Marche!”, che ha lasciato il Partito Socialista per fare un movimento a metà strada tra liberalismo e socialismo. Curioso, però, che sembri un’idea nuova ripartire (con l’aggravante di vent’anni di ritardo) da Blair e Jospin.
La stampa francese, a scorrere i principali quotidiani, si appresta pure a celebrare la sostanziale tenuta della destra repubblicana nazionale, guidata da un Fillon decorosamente sul pezzo nonostante i tanti scandali, giudiziari e non, che lo hanno riguardato. Quel che è certo è che, per la seconda volta in due decenni, i socialisti di Hamon dovrebbero sparire già al primo turno: una disfatta, se si pensa che Hollande, nei primissimi giorni dalla sua elezione, partiva con un consenso personale ben superiore al 50 per cento dei voti.
Analizzare il ruolo di Hamon e del PS al primo turno delle presidenziali significa avvicinarsi alla tragica consistenza del problema: la socialdemocrazia tradizionale è a pezzi. Il fallimento della sua classe politica è stato confuso col definitivo superamento della sua funzione, ma è innegabile che all’interno della socialdemocrazia non ci sia speranza di successo elettorale, oggi in Francia (e, forse, in Europa). O si sta subito a destra, accettando le politiche economiche e di pubblica sicurezza che vengono dalla destra europea di governo degli ultimi anni, o si presidia, con una certa utopia ma un radicamento territoriale e affettivo ancora ampio, la sinistra storica nelle sue molteplici varianti.
Ben tre, al primo turno delle presidenziali. In testa la sinistra democratica, moderata, ma antagonista politica della svolta liberale dei socialisti, di Mélenchon, col suo carico di ambientalismo manierato, di difesa della compatibilità costituzionale, economica e legalitaria. Segue la sinistra genericamente anticapitalista, che solidarizza con le istanze antagoniste (in Francia rappresentata dal Nuovo Partito Anticapitalista). Chiude la sinistra trozkista, tradizionalista e di nicchia, per quanto più nobile di tanti suoi epigoni, rappresentata dallo storico partito Lutte Ouvrière (“Lotta Operaria”: la morte della classe operaia, nonostante le invocazioni alla lotta non siano morte). Si tratta di irrilevanza politica quanto alla rappresentanza di massa, ma anche di oneste rendite di posizione nel mare torbido della politica gauchista istituzionale.
Si annunciano posizionamenti sconclusionati che emergeranno al secondo turno, in conseguenza del probabile eclissarsi del Partito Socialista e dei Repubblicani di Destra.
Ci sono, però, problemi strutturali molto più evidenti della ostinata resistenza della sinistra estrema o delle falle programmatiche del Front National e del movimento personalistico di Macron. Per la prima volta, probabilmente, la Francia si ritrova completamente a corto di idee rispetto alle esigenze essenziali che le si propongono e impongono giornalmente. La destra di Marine Le Pen propone ricette immediate quanto energiche nel tamponare l’emergenza migratoria: può davvero bastare a gestire problemi di lunga durata, come l’integrazione delle minoranze etniche e religiose, le sfide della sicurezza interna ed internazionale, l’aggravarsi del disagio sociale?
Macron, l’altro favoritissimo, prende pezzi dell’establishment socialista e qualche idea dai partiti socialisti europei, ma guarda al centro, alle organizzazioni delle imprese, alla classe produttiva e agiata e alle sue paure. Proprio quelle realtà, cioè, che ancora non è riuscito a convincere appieno, perché il grande successo mediatico di Macron è il suo più spietato limite politico: l’assenza di un programma.
Il dibattito televisivo tra i cinque competitori più forti (Le Pen, Fillon, Hamon, Mélenchon e, appunto, Macron) sembra un’istantanea degli anni Novanta: i vigorosi sostenitori della tolleranza zero, i difensori della tradizione patria liberale, la sinistra di governo col consenso ai suoi minimi, oppositori interni antisistema e filo-sistema, questi ultimi prontissimi al sorpasso. E, forse, alla vittoria finale.
Vent’anni dopo, sì, la Francia sembra proprio senza idee.