Il nuovo romanzo “Tante piccole sedie rosse” fa approdare la grande scrittrice Edna O”Brien su tematiche complesse e delicate, raccontate con la consueta sagacia e un forte legame con l’arte descrittiva tipica della letteratura britannica. Al centro di Tante piccole sedie rosse c’è uno scandalo, in un piccolo villaggio irlandese, dove c’è una donna ingenua tradita da un uomo e giudicata da tutti. L’uomo, l’altro protagonista, è Vladimir Dragan, migrante misterioso arrivato (dice) dal Montenegro, che si presenta come «medico olistico» e poi, si scopre, è un criminale di guerra serbo bosniaco, che sembra Radovan Karadzic, l’uomo condannato per il genocidio di Srebrenica. Inizia così la lunga intervista riservata del Giornale con la scrittrice e romanziera irlandese, giunta all’ennesimo capolavoro dopo il primissimo Ragazze di campagna del 1960. Il mistero e il fascino di un elemento che in questo romanzo è centrale: è il male il nuovo “zenit” da raccontare e riscoprire. «Il male è un tema che la letteratura ha affrontato fin dagli inizi. C’è il male di Omero, di Sofocle, di Euripide, c’è il male di Shakespeare, come Otello e Tito Andronico. E, nel mondo in cui abitiamo, il male sembra più preponderante che mai, perché abbiamo così tante informazioni da tutto il globo. L’ho scelto come tema in contrasto con uno sfondo di innocenza e di ignoranza relativa. In quel piccolo villaggio, nessuno avrebbe potuto immaginare che una persona del genere capitasse in mezzo a loro. È uno stratagemma utilizzato in molte fiabe, che io trovo interessante esplorare anche nel romanzo», risponde la O’Brien al collega del Giornale.



Una scrittrice legata da sempre allo “scandalo”, centrale in tutte le sue opere fin dalla gioventù e che ritorna anche in questo ultimo romanzo: «La grande narrativa si apre un varco nei turbamenti del pregiudizio e dell’ipocrisia. Pensi a Casa desolata di Dickens e all’inerzia soffocante della professione legale». Il male, da Dostoevskij a Tolstoj, dai grandi romanzieri francesi fino ai complessi sassoni e boemi, attraversa la grande letteratura mondiale per un semplice motivo, visto che interessa, sconquassa e “ricatta” la stessa azione dell’uomo, ossessionato da esso e in eterna contraddizione con il bene. Edna O’Brien questo lo coglie molto bene, tanto da considerata la scrittura come nativa quasi sempre dal dolore: «Credo che il dolore e la tristezza siano pietre indiscutibili per affilare la scrittura e la ragione è semplice. Una persona felice probabilmente non trascorrerà tre settimane a descrivere un certo dettaglio di una nuvola, come ha fatto Flaubert, e come ci dice. La tensione e il conflitto interiore sono la materia della letteratura e Kafka ce lo ha ricordato più di una volta».

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