Si può vivere in mille modi la pienezza della Pasqua. Custodendo il silenzio, ascoltando la Passione secondo Matteo di Bach (per Benedetto XVI era quasi una scorciatoia verso Dio) o affidandosi alle confidenze di un poeta. Tra i miei preferiti per questo tempo c’è il Luzi che nella sua Via Crucis racconta di un Cristo umanissimo e avvinto dalla nostalgia, oppure il grande Czeslaw Milosz che nella poesia-preghiera Veni creator implorava un segno come l’incredulo Tommaso:
“Sono soltanto un uomo – ho dunque bisogno di visibili segni,
mi stanco presto costruendo scale di astrazioni.
Pregavo talvolta (Tu lo sai) che in chiesa un’immagine dipinta
sollevasse per me la mano – una, un’unica volta.
Ma lo capisco, i segni possono essere solamente umani.
Desta allora un uomo, in un posto qualunque della terra,
(non me: almeno so cos’è il decoro)
e permetti che – guardandolo – io Ti possa ammirare”.
Al personale catalogo di libri “pasquali” quest’anno aggiungerò Risurrezione. Istruzioni per l’uso di Fabrice Hadjadj (Ares). Pamphlet spiazzante e incendiario, che fa pendant con un altro corroborante libretto di Hadjadj intitolato Farcela con la morte. Anti-metodo per vivere, uscito per Cittadella nel 2009.
In Risurrezione, Hadjadj si fa reporter dell’assoluto. Passa allo scanner i passi finali dei Vangeli che ragguagliano sul Risorto offrendo una miriade di osservazioni/consigli per la nostra vita ipertecnologica e sincopata.
Per esempio, osserva quanto al Risorto stiano a cuore le “piccole cose”. E ci prende per mano per scoprire lo stupore dell’ordinario: il Cristo accoglie i suoi non tra fulgori e smottamenti, ma con un’appetitosa grigliata di pesce sul lago:
“Se dovessimo immaginarci un uomo entrato nella gloria divina, ce lo rappresenteremmo come uno che realizza cose straordinarie — che splende meglio di una vedette alla cerimonia degli Oscar, che gioca con le stelle, che stabilisce un’armonia tale che il lupo dimorerà insieme con l’agnello, la pantera si sdraierà accanto al capretto (Is 11, 6)… Ebbene, bisogna arrendersi all’evidenza: Gesù risorto non fa nulla di tutto ciò. Salvo una rete così piena di pesci da scoppiare e un’ascensione a proposito della quale due uomini vestiti di bianco gelano gli astanti gridando loro: ‘Perché state a guardare il cielo?’ (At 1, 11) — non compie miracoli. O, se ne compie, sono miracoli al rovescio, nel senso della discrezione, del riserbo, dell’anonimato”.
Sembra quasi che il Risorto voglia giocare a nascondino con i suoi:
“Maria Maddalena sul momento lo scambia per un semplice giardiniere, i discepoli di Emmaus per il più ignaro degli abitanti di Gerusalemme, gli Apostoli per una specie di pescatore in pensione sulla riva del lago di Tiberiade…”.
Hadjadj contempla Gesù in mezzo ai suoi e nella riflessione troviamo molti spunti d’ancoraggio per riequilibrare il nostro rapporto con il tempo e con il corpo:
“Se Gesù ritorna col suo corpo e in mezzo a noi, vuol dire che è buona cosa vivere in un corpo e passeggiare sulla terra”.
Così Hadjadj nel bellissimo e poetico capitolo dedicato alla donne “mirofore”, portatrici di profumo, che corrono verso il sepolcro. È poi particolarmente suggestiva la descrizione di Tommaso. L’apostolo che andava a testa alta pensando di capovolgere il mondo e che si diceva pronto a morire per il Cristo prima dell’ingresso in Gerusalemme. Però Tommaso non si fece trovare nel momento decisivo, al ritorno di Gesù.
“Tommaso manca all’appello della prima apparizione al cenacolo. Ha sbagliato tutto. Non ha ricevuto lo Spirito Santo…. E quel che è peggio, o a causa di ciò, non vuole credere a quel che gli raccontano i compagni, il cui numero tuttavia supera di molto quello che la legge richiede per una valida testimonianza. Ciò basterebbe a classificarlo tra i più sfortunati e i più testardi. Ma, per giunta, vuole portare la palma dell’arroganza. Infatti pone una condizione così estrema che anche i più arroganti non la prenderebbero in considerazione brandendo lo stupido detto: ‘Sono come Tommaso, credo solo a quel che vedo'”.
Eppure poco dopo anche Tommaso, “la testa calda”, sarà rincuorato dal suo Gesù e andrà in missione più lontano di tutti gli altri:
“In Persia, forse in Cina, comunque verso l’India meridionale, dove fonda sette chiese tra il Kerala e lo Sri Lanka, prima di conoscere finalmente la felicità di essere sgozzato da un ‘sommo sacerdote'”.
In fondo è questo il messaggio di Hadjadj. Anche noi possiamo essere “teste calde”, carichi di dubbi e incerti come Tommaso. Ma questo non esaurisce la possibilità di trovare un orizzonte di senso anche quando si fa buio, come accadde ai due di Emmaus. È proprio quello che toccò allo stesso Hadjadj:
“Ho creduto in Nietzsche e in Georges Bataille, benché troppo timido per impegnarmi totalmente nella disciplina dell’orgia. Allora ho creduto in Hegel, per cercare di ricapitolare i momenti anteriori della mia credenza e poi, ritornato dal ‘sapere assoluto’, ho creduto in Céline, che predicava il vangelo del Viaggio al termine della notte. Ho creduto, al tempo stesso, nel buddismo zen. Con tutto ciò, certamente, credevo molto in me stesso, e soprattutto credevo di non essere credente. E un bel giorno, pluf! tutto questo misticismo è stato trascinato via dal torrente della vita. Ho riscoperto di essere ebreo e francese, per scoprire subito dopo, in vecchi libri francesi, che Dio si era fatto ebreo. E così sono diventato cristiano. E per giunta cattolico. È stata la fine del tempo della mia credulità. E l’inizio di una molto profonda — e umiliante — oggettività”.