Nell’ambito del convegno “Dostoevskij. Abitare il mistero” previsto per oggi e domani a Roma, promosso dalla Facoltà di Comunicazione istituzionale della Pontificia Università della Santa Croce, Adriano Dell’Asta terrà una relazione sul tema: “Tra estetismo e utilitarismo. I principi di una logica nuova in Dostoevskij”. Per gentile concessione dell’autore ne proponiamo un estratto. 



(…) Uno degli elementi costanti in Dostoevskij è quell’identificazione tra la bellezza e Cristo che già aveva colpito il principe Vladimir e che noi possiamo ritrovare continuamente e costantemente approfondita, nei taccuini, nelle lettere e nelle opere letterarie dello scrittore: Cristo è l’incarnazione della “bellezza dell’ideale” dell’umanità, come si legge in un abbozzo di articolo del 1865; è “l’ideale della bellezza”, come si precisa in una lettera del 1876; così che “il mondo diventerà la bellezza di Cristo”, secondo quanto si dice in uno degli appunti preparatori per i Demòni.



(…) Il legame tra la bellezza e Cristo, oltre che nei passi citati, è presente in un altro testo, decisamente più famoso, oltre tutto, di quelli precedenti; si tratta della notissima lettera del 1854, nella quale Dostoevskij, descrivendo alla signora Fonvizina le caratteristiche della fede che gli ha permesso di superare la tremenda esperienza della galera, così la definisce: “Mi sono formato un simbolo di fede in cui tutto per me è chiaro e sacro. Questo simbolo di fede è molto semplice, eccolo: credere che non v’è nulla di più bello, di più profondo, di più simpatico, di più ragionevole, di più coraggioso e di più perfetto di Cristo; e non solo non c’è, ma con amore geloso io mi dico che neppure può esservi. Ma v’è di più: se qualcuno mi dimostrasse che Cristo è fuori della verità ed effettivamente risultasse che la verità è fuori di Cristo, io preferirei restare con Cristo piuttosto che con la verità”.



Come sappiamo, questa formulazione si è attirata nel corso degli anni una serie infinita di critiche per l’irrazionalismo che sarebbe inevitabilmente insito in questa contrapposizione tra Cristo e la verità e quindi tra fede e ragione; ancora di più, nella lettera verrebbe alla luce, si dice, il fideismo, se non già l’irrazionalismo, tipico della tradizione cristiana orientale, contrapposta in questo senso al razionalismo occidentale.

Rispetto a questa prima critica mi permetto di riprendere le precisazioni di un recente studio di Antoine Lambrechts che ha rilevato come l’espressione di Dostoevskij possa trovare qualcosa di “analogo — ma non identico — anche in un’omelia di san Dimitrij di Rostov (1651-1709), le cui opere Dostoevskij aveva letto, secondo la sua stessa testimonianza, mentre era rinchiuso nella fortezza di San Pietro e Paolo, ossia nel 1849”; in effetti, in questa omelia, che è del 19 novembre 1705, noi leggiamo: “se qualcuno mi chiedesse: ‘cosa desideri di più? Il regno dei cieli o Dio solo?’, io rifiuterei il regno dei cieli e desidererei Dio. Infatti, cos’è per me il cielo? Non è forse meglio Dio, Creatore del cielo? Un’altra persona devota ebbe a dire: preferirei essere all’inferno con Dio, che in cielo senza Dio”. Dostoevskij, nella sua lettera, aveva scritto: “preferirei restare con Cristo piuttosto che con la verità”. 

Ora la cosa interessante è che, come padre Lambrechts aveva mostrato in un altro suo studio precedente, questa affermazione, apparentemente così orientale, era stata presa “senza indicarne la fonte, dalla Vita di santa Lutgarda, scritta nel XIII secolo dal domenicano Thomas de Cantimpré (1201-1272), appena pubblicata in latino nel 1701 nei celebri Acta Sanctorum della Società dei bollandisti. Santa Lutgarda era nata alla fine del XII secolo (1182) a Tongeren, nel Belgio settentrionale, ed era entrata nel monastero benedettino di Santa Caterina a Sint-Truiden all’età di dodici anni. Dopo aver vissuto per ventidue anni in questo monastero, non desiderando essere eletta superiora della comunità e aspirando a una vita ascetica più rigorosa, volle entrare nel vicino monastero cistercense di Herkenrode, tuttavia il suo padre spirituale le consigliò di entrare in quello di Aquiria, che pure apparteneva all’ordine cistercense ma si trovava nel Brabante vallone e francofono. Alle proteste di santa Lutgarda, che fingeva di non conoscere il francese e di non riuscire a impararlo, rispose la beata Cristina la Mirabile (1150-1224), un’altra celebre santa monaca di quel tempo, che riuscì a dissuaderla, dicendole che era più importante restare con Cristo, poiché lei stessa preferiva essere “con Dio all’inferno che con gli angeli in cielo ma senza Dio””. 

Padre Lambrechts prosegue poi il suo studio mostrando come questa idea abbia una lunga tradizione in Occidente, fino ai “grandi Padri latini del IV-V secolo, sant’Ambrogio e sant’Agostino”, ma non è questo quello che ci interessa qui, anche perché ovviamente si tratta di una cosa che Dostoevskij non poteva neppure sospettare; quello che invece è interessante e decisivo per noi è il fatto che una posizione che viene presentata abitualmente come tipica dell’Oriente ha in realtà un grande e forte radicamento non solo nella tradizione della Chiesa indivisa, ma anche in quella dell’Occidente successivo alla separazione: davvero la contrapposizione tra l’Oriente e l’Occidente può trovare una soluzione non nel prevalere dell’uno sull’altro, ma nel ritrovarsi, dell’uno e dell’altro, in questo amore esclusivo per Cristo: un amore che non è soltanto un progetto o un ideale inaccessibile, ma un fatto.

Ma l’analisi attenta della lettera di Dostoevskij, del suo contesto e del suo testo, ci spinge anche a un’altra serie di considerazioni, relative al presunto fideismo se non già irrazionalismo dell’affermazione di Dostoevskij; a ben vedere, in effetti, non solo la sua posizione non è tipica del solo Oriente cristiano, ma non può essere neppure una vera contrapposizione tra fede e ragione, per il semplice fatto che Dostoevskij, prima di dire che, se dovesse scegliere, lui preferirebbe “restare con Cristo piuttosto che con la verità”, ha definito Cristo come ciò di cui non esiste “nulla […] di più ragionevole”; il senso della sua affermazione va dunque cercato in un’altra direzione, ben diversa da quella della semplice contrapposizione tra verità e Cristo, o tra ragione e fede, razionalismo e irrazionalismo: perché non si vede in che cosa potrebbe contrapporsi alla ragione un Cristo ragionevole. 

In realtà, per Dostoevskij, che dalla Chiesa d’Oriente ha imparato che Cristo è la “luce della ragione” (“svet razuma” come si canta nel tempo di Natale), la vera alternativa alla fede in Cristo non è mai innanzitutto la ragione quanto piuttosto l’ateismo, un ateismo che però Dostoevskij intende in maniera particolare: non come la semplice negazione di Dio ma come la riduzione di Dio alla sua idea; in questo senso, appunto, Dostoevskij parla del socialismo ateo, che per lui è ateo appunto nel senso che difende le idee di Cristo, ma senza Cristo o, per usare un’espressione che si trova nell’Adolescente, le “virtù senza Cristo”. 

Se leggiamo la lettera alla signora Fonvizina alla luce di questa concezione di ateismo il suo contenuto diventa immediatamente più chiaro: la vera alternativa posta dall’affermazione di Dostoevskij non sarebbe l’alternativa tra una verità senza Cristo e un Cristo o una fede irrazionali, ma sarebbe piuttosto quella tra un’idea di verità o una verità ridotta a un’idea, eternamente contestabile e riducibile proprio in quanto idea, e la Verità incarnata, ciò che effettivamente è Cristo: né una delle tante idee di verità, ma neppure la semplice verità, perché Cristo è piuttosto la Verità incarnata, così che per Dostoevskij è un punto assolutamente irrinunciabile quello che viene espresso in uno degli appunti preparatori ai Demòni: “molti pensano che sia sufficiente credere nella morale di Cristo, per essere cristiano. Non la morale di Cristo, né l’insegnamento di Cristo salveranno il mondo, ma precisamente la fede in ciò, che il Verbo si è fatto carne”. (…)