Tanto vale cominciare da questo stramaledetto capitello che mi ha ossessionato per mesi. Ormai è diventato famoso oltre, probabilmente, le intenzioni del suo stesso autore del XII secolo. Tutta colpa di papa Francesco che, da giugno dell’anno scorso (quando aprì il convegno della diocesi di Roma), continua a propinarlo suscitando, ogni volta, le ire dei “veri credenti”. I quali, peraltro, risultano essersi affrancati dall’iniquo servaggio di seguire il Vicario di Cristo e si sentono liberi (finalmente liberi!) di sparare a palle incatenate contro l’omone biancovestito. Viva la libertà, dunque. Viva la libertà di dire che il papa è eretico e ignorante, di dileggiarlo come, a un vecchio cristiano come me, sembra tuttora impensabile. 



Due versioni a confronto: per papa Francesco il Buon Pastore porta sulle sue spalle il cadavere di Giuda come se fosse una pecora perduta. Quindi anche Giuda è salvo. Nella versione opposta la smorfia del “Giudoforo”, che sorride a metà, è il segno che si tratta del demonio. E va detto che a sostegno di questa interpretazione gli elementi non mancano. Le Scritture, la patristica, la tradizione dimostrerebbero inequivocabilmente che Giuda è dannato come, peraltro, pensava anche Dante Alighieri. A supporto di questa interpretazione, che alcuni giornalisti reputano prevalente, è stato portata anche la congettura che l’interpretazione del papa derivi dal pensiero, notoriamente eretico, di Eugen Drewermann, teologo ed ex sacerdote cattolico, il quale ha più volte sostenuto come Giuda, in realtà, fosse il discepolo più figo di tutti. Per cui questa interpretazione favorevole a Giuda deriverebbe da uno dei più famosi pipponi dell’illustre teologo autore de Il vangelo di Marco; immagini di redenzione del 1994. Ma va detto che, molto più semplicemente e umanamente, don Primo Mazzolari aveva già ipotizzato la salvezza di Giuda e così una splendida canzone di Claudio Chieffo del 1971 (“Monologo di Giuda”).



Tutto molto interessante, certo, ma in tutte queste interpretazioni mancava quella degli storici dell’arte: e che arte! Signori miei, stiamo parlando di arte romanica del XII secolo. Un’età così straordinaria da essere una delle più splendide della storia, alla faccia di chi pensa ancora al Medioevo come a un’epoca di oscurità e tristezza. Basti pensare che solo nel 1700 la popolazione europea tornò a essere numerosa come nel 1300.

Ora, chi abbia camminato in una basilica medioevale francese sa che non si può prendere un elemento ed esaminarlo staccandolo dalla sua complessità. La domanda centrale è quindi: quest’opera riguarda la misericordia o la giustizia? Si può cominciare a dire, buttandola lì, che il capitello maledetto si trova nella basilica di Santa Maria Maddalena a Vezelay: una santa che, da sempre rappresenta il peccato e la grazia, la caduta e il rialzarsi. “Il cristiano è colui che ricomincia” dicevano i padri della Chiesa. Ma proviamo fare una visita virtuale a questa meraviglia grazie agli scritti e al formidabile lavoro di Viviane Huys Clavel, autrice di un testo fondamentale che ha in copertina proprio il famigerato capitello, Image et discours au XII siècle: les chapiteaux de la basilique Sainte-Marie-Madeleine à Vezelay, L’Harmattan 2009, Paris. Costa solo 19 euri in e-book. Spesi bene.



Nel timpano occidentale, Cristo in maestà con gli undici apostoli. Un seggio è vuoto. Chissà perché? Giuda è da tutt’altra parte. Intorno a Lui popoli di tutto il mondo compresi i selvaggi cinocefali. Nessuno è escluso dalla salvezza e alla destra del Salvatore gli ebrei Nicodemo e Geroboamo. Anche gli ebrei partecipano alla salvezza ed è, questo, un tema centrale della basilica. Proseguiamo nel nartece, questo oscuro vestibolo colmo di immagini di salvezza e di forza: Sansone atterra un leone, Ulisse resiste alle sirene; ossia come resistere alle tentazioni e dominarle. Poi dal buio alla luce: entriamo nella basilica. Per molti ciò che dirò sarà scontato ma confesso la mia ignoranza. La basilica è un percorso: si comincia dal lato più freddo, nella navata laterale sinistra, rivolta a nord, dove contempliamo scene di violenza dell’Antico Testamento con decapitazioni ricorrenti. Giunti quasi all’abside iniziano immagini che riguardano i santi e la vita monastica: possiamo tornare a vivere. C’è anche un Buon Pastore barbuto che rimanda al “Giudoforo”. Torniamo indietro nella navata laterale sud e i capitelli raccontano a noi, incolti cristiani del XXI secolo, la storia di Giacobbe e dei santi ma, camminando verso ovest, ci allontaniamo dall’altare e ritorna il peccato: immagini di disperazione e di lussuria fino al ratto di Ganimede da parte di Zeus dove l’omosessualità è rappresentata come peccato ma non censurata. Siamo tornati all’inizio della navata centrale ed eccolo qui il capitellaccio. 

Ormai sappiamo tutto di lui ma non come leggerlo. E per farlo dobbiamo guardare al capitello alla nostra sinistra dove si trovano due pellicani che, secondo la leggenda, si aprono il petto per nutrire i piccoli. Due suicidi diversi. Anche quello di Giuda può essere un sacrificio, per quanto errato? Secondo la Huys la risposta è affermativa. I capitelli successivi sono collegati tra loro: Erodiade e Amnon rappresentano l’amore incestuoso, Abele e Caino sacrificanti  fanno “pendant” con una crocifissione fino a un guerriero che lotta contro un dragone alato, riflesso della fortezza di Giuseppe a fronte delle profferte della moglie di Putifarre.

Possiamo tornare quindi verso l’uscita, verso l’ovest che è sì il regno del sole calante ma è anche l’inizio del nostro personale cammino. Ci voltiamo per salutare il Signore e il primo capitello sulla destra è quella del “Giudoforo”. Sì, forse possiamo farcela anche noi. In fondo la Chiesa proclama la certezza dei santi ma è estremamente riservata sui dannati. “La bontà infinita ha sì gran braccia, che prende ciò che si rivolge a lei”. Appena usciti, davanti ai nostri piedi, troviamo la conchiglia di Santiago che ci indica non una meta ma un cammino di 1.400 chilometri a piedi. Da questa stessa chiesa uscì il fiore della cavalleria di Francia, in partenza per la seconda crociata del 1148 e per la terza di cinquant’anni dopo. 

Quanto al capitello i testi che sottopongo alla vostra attenzione sono tutti univoci nel considerare la misericordia di Dio più grande del peccato di Giuda, per quanto opinabili come ogni studio umano. A sostegno di tali tesi Drewermann non compare da nessuna parte. Per cui ognuno si tenga le proprie convinzioni accettando, tuttavia, quell’evento salvifico che è il sentirsi messi in discussione: perché solo così possiamo uscire dalle gabbie da che ci siamo creati, lavorare, studiare e crescere ancora finché Dio ce ne darà la forza. Bisognerebbe partire da una considerazione: che dare ragione o torto al papa è secondario rispetto alla possibilità di tornare a conoscere la Bellezza e a “leggere” l’arte di questi cristiani di otto secoli fa che hanno così tanto da insegnarci. E se questa storia sarà parsa esemplare è unicamente perché un incompetente come chi scrive si è dovuto mettere a studiare in assenza di risposte convincenti dato che nulla, nemmeno la risposta qui illustrata, può renderlo veramente tranquillo. Buen camino!

Si vedano:

1. http://yvesdaoudal.hautetfort.com/archive/2016/06/20/francois-et-vezelay-5817364.html
2. http://le-gardien.blogspot.it/2016/11/vezelay-et-le-chapiteau-de-judas.html3. http://www.hicsum-hicmaneo.com/article-la-basilique-de-vezelay-les-chapiteaux-inacheve-113550374.html4. http://www.eleves.ens.fr/aumonerie/en_ligne/dedicace_latran07/senev