Viene presentato oggi presso la Sala del Parlamentino del Cnel a Roma il Rapporto “Sussidiarietà e…. crisi demografica 2016/17” curato dal professor Gian Carlo Blangiardo, docente di demografia nell’Università degli Studi di Milano-Bicocca. In esclusiva, Blangiardo ci ha fornito un’anteprima del documento: “Quella demografica non è una delle tante emergenze, ma una vera e propria crisi che ha la stessa rilevanza di quella economica di cui si parla poco o niente. Questo rapporto è aggiornato con le informazioni più recenti, è sensibile rispetto alla realtà del nostro tempo con un occhio sulle prospettive del futuro, dando una indicazione di diagnosi e di terapia su come si possano affrontare”.



Professore, quando si parla di crisi demografica si elencano sempre le stesse problematicità: scarso sostegno economico alle famiglie, crisi economica, difficoltà nel conciliare maternità e lavoro. C’è qualcosa d’altro che il vostro rapporto mette a tema?

Queste sono certamente le cause ricorrenti, ma c’è anche un nodo di carattere culturale.



Quale?

Non è solo il fatto che è diventato difficile fare figli oggi, ma che c’è una mentalità meno favorevole ai figli di quella che c’era una volta. Si è cioè meno propensi ad accettare sacrifici e impegno. Devo però dire che la cosa interessante di questo Rapporto è che non è vero che tutta l’Italia va così.

Nel Rapporto infatti si citano quelle che voi definite “isole felici”, ad esempio la provincia di Bolzano. Come si spiega questo fenomeno?

Ci sono in Italia esempi che dicono che una politica sana per la famiglia si può fare, l’esempio più virtuoso citato nel libro è appunto quello della provincia di Bolzano. La dimostrazione provata che se c’è un sistema che dà un pochino di soldi in più, è maggiormente disponibile con il part time nei confronti dei dipendenti pubblici, offre asili e strutture a costi moderati che risolvono il problema di dove mettere il bambino, viene fuori che in questa provincia c’è una media di natalità superiore del 50 per cento in più della media nazionale.



Ce ne sono altre di queste isole felici?

Soprattutto in nord Italia, dove troviamo amministrazioni comunali che in qualche modo si arrangiano. Sono la prova che là dove le amministrazioni dimostrano sensibilità al fenomeno i risultati arrivano. Questo è il messaggio da trasmettere al mondo della politica.

Queste amministrazioni che si impegnno per la famiglia sono qualcosa di inedito per il nostro Paese o sono il frutto sopravvissuto di una mentalità che un tempo era consuetudine?

Sono il prodotto di una sensibilità non diffusissima ma comunque non assente del tutto rispetto a una situazione che nel tempo è andata progressivamente deteriorandosi. Queste amministrazioni hanno capito che se non si faceva nulla le conseguenze sarebbero state difficili da gestire e hanno saputo mantenere certi equilibri. Certo, sono anche realtà che godono di situazioni economiche non disperate. Un altro esempio è Peschiera del Garda, dove hanno stravolto in senso positivo le dinamiche demografiche grazie a una amministrazione che si è rimboccata le maniche e ha fatto cose eccellenti. 

E dove invece le amministrazioni non ce la fanno?

Attenzione a una cosa importante. L’intervento demografico non deve essere, come invece è sempre stato, qualcosa per i poveretti. Il problema non è risollevare la natalità facendo fare figli ai poveri, ma a chi ha le condizioni per farli.

La classe media?

Le famiglie del ceto medio dove entrambi i componenti lavorano. Questi nuclei hanno bisogno di un intervento economico perché i calcoli Isee li tagliano fuori. Chiunque arriva ad avere un reddito decente senza essere ricco è fuori dai parametri e dunque non fa figli.

Mi sembra di capire però che lei sostenga che è possibile fare azioni virtuose senza aspettare l’intervento dello Stato, è così?

Assolutamente sì. Certo, ogni realtà è diversa e gli stessi interventi possono essere diversi, ma sostenere la sussidiarietà localmente dal basso vuol dire sostenere coloro che conoscono il proprio territorio e sanno come indirizzare quei quattro euro che hanno a disposizione. Questa è una scelta di orientamento che andrebbe fatta, la dimostrazione che funziona ce l’abbiamo.

Ci siamo illusi che gli immigrati portassero quel ricambio generazionale che noi italiani non riusciamo più a garantire, invece anche loro fanno meno figli, come mai?

C’è sempre stata, pilotata, l’illusione che i figli che non facciamo noi li fanno loro. Ecco, questa è una stupidaggine colossale. 

Perché?

Funzionava un po’ quando aumentava il numero dei ricongiungimenti, ma negli ultimi 4 anni anche gli stranieri hanno capito come funziona in Italia; aggiungiamoci poi che non hanno neanche i nonni che li aiutano. Così anche loro adesso fanno uno o due figli al massimo. Il famoso indicatore sui nati ci dice che per gli italiani la media a famiglia è dell’1,3%, per gli stranieri una volta era del 2,6 e oggi è scesa all’1,9%.

Il fenomeno degli italiani che espatriano invece quanto incide?

E’ un’altra di quelle cose che fingiamo di non vedere e invece cresce continuamente. Nel 2016 sono stati 116mila, l’anno prima 100mila, l’anno prima ancora circa 90mila. E’ vero che il mercato del lavoro oggi è europeo e non più su base regionale nazionale, ma la cosa preoccupante è che quelli che se ne vanno sono quelli più bravi. Noi spendiamo i soldi per l’università, investiamo cifre decenti per la formazione dei quadri del futuro e questi giustamente vanno a lavorare per la concorrenza. Una classe politica che non capisce questo dovrebbe andarsene in pensione.

(Paolo Vites)