Domani saranno cento gli anni da quando la Madonna apparve a Fatima. E mentre il Papa vola lì, la Chiesa ci invita a guardare a due bambini che saranno dichiarati santi: Francisco e Giacinta Marto, due dei tre pastorelli che videro la Madonna. Il 13 maggio 1917 avevano rispettivamente nove e sette anni e morirono entrambi a dieci anni di malattia: non di martirio, di malattia. Di quelle epidemie che a inizi del ‘900 in Europa ammazzavano la gente a mucchi. La Chiesa nel centenario delle apparizioni non accende i fari su segreti veri e presunti, su profezie apocalittiche verificatesi o meno, ma illumina due bambini che sono santi e che sono santi non perché hanno visto la Madonna. 



Perché, dobbiamo averlo chiaro, avere le visioni non fa diventare santi. Ci sono molti casi ad attestarlo, quello più famoso è quello de La Salette dove né Mélanie Calvat né Maximin Giraud sono mai stati né canonizzati né beatificati. La stessa terza veggente di Fatima, suor Lucia, non è santa. Forse lo sarà ma forse anche no, perché non è vedere la Madonna che fa diventare santi. Non è ricevere segreti o scoprirne se ce ne sono degli altri. Non è santo chi capisce se una profezia si avvera o meno. Francisco e Giacinta sono santi perché hanno accettato di essere cambiati dall’incontro con Dio. Hanno fatto la stessa vita di prima ma cambiata. Erano pastorelli e hanno continuato ad esserlo. Maria chiedeva penitenza e loro l’hanno fatta come l’hanno capita, come la potevano comprendere dei bambini: in maniera semplice, diretta, lineare. 



Su certi siti è tutto un inseguirsi di particolari sanguinolenti sui “cilici” di questi bimbi. Ma in realtà tutto questo sangue e tutto questo dolore, in sé, non ha alcuna importanza. Non è il sangue, non è lo straordinario che fa la santità, che fa il cristianesimo. È continuare la propria vita quotidiana ma vivendola con la pienezza di Dio. Francisco e Giacinta vedono la Madonna ma muoiono di malattia, di epidemia, come morivano tantissimi portoghesi di quel tempo. E la grazia di vedere Maria è una grazia, certo, ma è una grazia che porta al nascondimento perché avere le apparizioni conduce alla solitudine. Quella che tutti noi viviamo quando tocchiamo il limite di non poter raccontare a nessuno, nemmeno a noi stessi, ciò che di più intimo ci costituisce ma che per i veggenti è una solitudine tutta particolare. E questo è il vero martirio — il vero cilicio — di chi è chiamato a ciò. 



Un veggente vive l’esperienza di una grande tensione. Sperimenta qualcosa di cui non vorrebbe parlare e però qualcosa deve comunicare. Inoltre questo qualcosa interpella nella vita del veggente tante cose, fa sorgere domande molte delle quali sono per lo più senza risposta. Cosa potevano capire due bambini come Francisco e Giacinta di quanto contenuto nei segreti di Fatima? È chiaro quindi come la spettacolarizzazione che molti creano attorno ai fenomeni straordinari — avviene per Fatima ma non solo — indica che chi si comporta così non ha capito nulla di quello che accade tra Maria e i chiamati dentro quel mistero.

Quando ricevettero le prime visioni, il 13 luglio 1917, i tre bambini non cambiarono: continuarono a svolgere le mansioni che svolgevano prima. Solo in un altro luogo. Forse per non far crescere le chiacchiere, ma certamente anche perché quel luogo miracoloso era un luogo che generava un turbamento particolare inesplicabile e incomunicabile. Ecco perché Maria come prima cosa disse loro: “Non abbiate paura, non voglio farvi del male”. Sapeva che come per Lei la rivelazione al Tempio di chi fosse Gesù era stata una lancia che le aveva trapassato il cuore, così l’esperienza delle visioni che Lei donava sarebbe stata un viaggio nello Spirito. E lo Spirito non è solo amore che porta la vita ma anche fuoco che arde e consuma, ombra che dà turbamento.

Al contrario di come pensano editori, registi ed autori, i veggenti non sono star. Non c’è un pallone d’oro di chi ha visto di più, prima e per più tempo. I veggenti, come ci insegnano i due santi bambini di Fatima, non sono dei privilegiati, con personalità carismatiche, con un “di più” morale o spirituale. Sono persone pervase da un’intensa coscienza di inadeguatezza, immersi in qualcosa il cui significato rimaneva ai loro occhi largamente ignoto ed oscuro ma che non per questo però, al contrario di quanto capita a noi, hanno pensato di tirarsene fuori o indietro. Perché i bambini vivono la vita che Dio dà loro. Non se ne allontanano come facciamo noi adulti, che la sottoponiamo al vaglio della nostra intelligenza — della nostra mancanza di intelligenza — e la scartiamo se non ci soddisfa. Forse la Chiesa, indicandoci quei due bambini, ha qualcosa da dirci.