L’immagine è un’esca luminosa: “Le anatre depongono le uova in silenzio mentre le galline schiamazzano come impazzite. Qual è la conseguenza? Tutto il mondo mangia uova di gallina” (H. Ford). Penso a questi due modi di deporre le uova e mi costruisco la sintesi: la comunicazione parte non solo dalla bocca di chi parla ma anche dall’orecchio di chi ascolta. Ecco perché, di fronte alla stessa realtà, l’uomo è capace di cogliere aspetti tra loro diversi da apparire opposti: a fare la differenza non è l’accadere della notizia ma il racconto scritto di quel fatto. Anche l’attenzione che si presta ad un semplice dettaglio contenuto nella notizia. L’arnese che è in nostro possesso per portare alla luce il tutto è la parola: in ogni parola abita una forza d’urto notevole a disposizione dell’uomo. E’ un arnese capace di aiutare, lenire, ferire, ingabbiare, far risorgere e crocifiggere. Umiliare e rendere umili. Sono presenze umili le parole, quasi impercettibili a forza di usarle senz’averne consapevolezza. A renderle umane o disumane è l’uso che se ne fa: la scelta è sempre quella d’usarle incoraggiando o di metterci mano per distruggere. Parole-speranza, parole-disperazione.
Comunicare è mettere-mano alla vita stessa, un mettere-mano al destino stesso dell’uomo. L’arte della comunicazione è una sorta di cooperazione alla salvezza della storia. Qui s’innesta l’invito di Papa Francesco in occasione della Giornata mondiale delle comunicazioni sociali, dal titolo: “Non temere, perché io sono con te” (Is 43,5). Il cristianesimo, lungi dall’essere una bella favola scritta per abbindolare i cuori, è una storia che accade: il suo palcoscenico è il mondo, i suoi attori protagonisti sono gli uomini e le donne d’oggi. Raccontare con carta e penna ciò che accade è, dunque, raccontare della verità di noi.
Una verità che può essere narrata con occhi disperati o con occhi di speranza. La disperazione è una gallina che schiamazza mentre fa le uova: per essere letto accetto di dire ciò che la gente vorrebbe sentirsi dire. Faccio leva sull’emozione per strappare un applauso. La speranza è un’anatra che fa le uova in silenzio: percepisco che dentro la mia storia abita un dramma, ma dentro al dramma della storia il sogno è quello di essere “come dei fari che illuminano la rotta e aprono sentieri nuovi di fiducia e di speranza”. E’ il segreto ultimo che fece del Cristo Nazareno il più eccellente dei comunicatori: in ogni dramma della storia è possibile scorgere un pertugio attraverso il quale mettere in circolo la speranza. Che è un fare-le-uova sottovoce, in punta di piedi, a basso profilo. Così silenziosi d’apparire, agli occhi dei più, quasi degli ingenui inconcludenti: all’anatra, al mercato delle uova, le si rinfaccia di non essere una buona venditrice di se stessa. Impari dalla gallina.
L’oggi è il boom della comunicazione: siamo tutti intenti a comunicare che stiamo comunicando. La nostra mente assomiglia ad una macina, come dipinge il Papa: il sogno, dunque, è quello di essere fornai di buone-notizie, “per offrire un pane fragrante a coloro che si alimentano dei frutti della comunicazione”.
Il che, a ben pensarci, non è solo una faccenda di chi crea la notizie ma anche di chi, condividendole, le aiuta a prendere il volo. Anche a prendere-il-largo nel mare di internet. Il tasto “convidivi/retweet”, su Facebook e Twitter, è una forma di comunicazione: rilancio — condividendo — ciò che per me è informazione che interessa. “Informare” è verbo di comunicazione, anche di nutrizione: in-forma, stare-in-forma, tenere-in-forma. La bellezza non è solo questione di proporzioni ma anche di stile nel racconto della realtà. E’ affare cristiano raccontare la medesima realtà da un altro punto di vista. Quando cala il buio ci restano due possibilità: maledire il buio, accedere un fiammifero. Entrambi, anatra e gallina, dicono che hanno deposto l’uovo: la forma, però, è già anticipo del contenuto.