Con il volume monografico Economia e cultura in Europa negli anni della grande guerra (in uscita in questi giorni presso Nuova Immagine), che raduna una serie di saggi sulla Prima guerra mondiale orbitanti intorno agli aspetti socio-economici e culturali del conflitto, si inaugura il nuovo corso della rivista scientifica di storia, scrittura e società “Progressus”. Si tratta di una nuova edizione del periodico, originariamente solo online e ora anche cartacea, reimpostata secondo i criteri dell’Anvur (l’Agenzia di valutazione nazionale del Miur), ora condotto da una nuova direzione e un comitato scientifico arricchito dall’arrivo di studiosi di livello nazionale e internazionale. Nel panorama delle riviste di storia del nostro Paese, questa nuova esperienza nasce soprattutto dall’esigenza di favorire la pubblicazione e la diffusione, all’interno della comunità scientifica ma anche tra un pubblico più ampio, di studi e ricerche che ruotino attorno ai grandi temi di ricerca storica contemporaneistica secondo un’impostazione di metodo volta a rilevarne i profili identitari, affrontando questi ultimi con un’attenzione particolare alla multidisciplinarietà, e alle nuove tendenze storiografiche nazionali e internazionali. L’ambizione della rivista è quella di riuscire a confrontarsi in un futuro prossimo alla pari e interfacciarsi produttivamente con le migliori iniziative scientifico-editoriali di ambito storiografico attualmente sulla scena culturale.
Data la ricorrenza centenaria della Prima guerra mondiale che stiamo attraversando, e che ha visto il susseguirsi di iniziative di ricerca universitaria e di divulgazione intraprese in Italia sia a livello istituzionale, sia a livello individuale, da parte di molti tra i migliori ricercatori della Penisola, anche “Progressus” al suo debutto ha scelto così di offrire un contributo qualificato a tale dibattito, con un volume collettaneo a cura del giovane studioso senese Giacomo Zanibelli, in cui si possono individuare diversi livelli interpretativi che a loro volta si sovrappongono a variegate piste di ricerca.
Da una parte, così, vi è qui l’attenzione per l’elaborato culturale della Belle Époque e della sua crisi che si tradusse in una sorta di “apocalisse” spirituale, dove gli intellettuali europei percepirono con la loro sensibilità in anticipo i segni della fine del primato continentale attraverso un processo di autodistruzione prima morale e poi materiale con le armi, dall’altra un approfondimento delle pregresse criticità del quadro socioeconomico italiano che contribuisce a spiegare le ragioni del profondo contraccolpo subìto nella Penisola dopo la Grande guerra. Le categorie di “mobilitazione” e di “fronte interno” prima affrontate in termini generali, e poi declinate nelle appartenenze regionali e locali con le loro indubbie originalità, costituiscono poi le parole chiave e in sostanza i termini di confronto che attraversano i saggi qui presentati.
Lo scoppio del conflitto, ovvero l’inizio di quella “guerra civile europea” descritta da E. Nolte, emerge nel volume in primis perché collegato al tema dell'”apocalisse culturale”, come rilevato nel volume di “Progressus” da Giulio Cianferotti. Nell’agosto del 1914 in maniera repentina la comunità culturale e letteraria europea andò per così dire “in frantumi” e quella generazione di intellettuali venne trascinata non solo nella guerra degli Stati, ma anche nella “guerra degli spiriti”, “der Krieg der Geister”. Nella cultura italiana del primo quindicennio del ventesimo secolo, il tema “apocalittico” della guerra presentava, così, accanto ad aspetti comuni alle culture di altri paesi, anche aspetti specifici. Tra gli intellettuali e i movimenti culturali d’anteguerra, infatti, si sarebbe diffuso allora proprio il tema della “apocalisse culturale”, accompagnato da uno stato d’animo e un convincimento che accomunava molti, e si fondava sul rifiuto del mondo attuale, la percezione di una sua prossima fine, e l’attesa della guerra quale rivelazione di un mondo nuovo, per quanto allora ancora insondabile. Così come la cultura d’avanguardia artistica e letteraria europea fantasticava nella guerra sperandola come una “catastrofe purificatrice”, si produsse un cambiamento radicale e violento dell’arida società tardo-borghese e l’avvento di un ordine sociale nuovo, “giusto e creativo insieme”: una grande esplosione di violenza che avrebbe salvato la società moderna dall’ottusità quale cifra finale di un’epoca di capitalismo e consumismo.
Rispetto ad una “vocazione alla guerra” nazionale, si può poi affermare che essa venne costruita in Italia dai tempi del Risorgimento. Se in vero a molti intellettuali la Grande guerra si rilevò essere nient’altro che un’immensa carneficina, la fine della civiltà e dell’umanità, “una catastrofe senza rigenerazione”, che aveva disperso l’entusiasmo e le apocalittiche attese d’un mondo nuovo dell’agosto del ’14, per altri, invece, proprio le proporzioni di quella lunga e immane catastrofe avrebbero confermato la validità dell’interpretazione apocalittica della modernità, e la fede nel mito della rigenerazione.
Nel volume, oltre agli aspetti socio-economici — a livello nazionale e locale — legati soprattutto al tema della mobilitazione, si ritorna spesso sul ruolo degli intellettuali coinvolti nel conflitto, una descrizione certamente di grande rilievo della situazione socioeconomica di Torino durante la mobilitazione bellica è costituita dagli scritti di un giovane Antonio Gramsci studente universitario, che sono rinvenuti da Giovanna Savant negli interventi dell’intellettuale su varie testate edite nel capoluogo piemontese. Dal Grido del popolo alle Cronache torinesi, sino al ben più noto L’Avanti, si susseguirono allora gli interventi di Gramsci, attento osservatore delle sedute del consiglio comunale, soprattutto del dibattito generato dalle contestuali difficoltà economiche e penuria alimentare, e concentrato sul tema della mobilitazione industriale; su quest’ultimo aspetto Gramsci tornava alle battaglie sindacali in difesa dei diritti dei lavoratori, dato il peggioramento della vita degli operai sottoposti a massacranti turni produttivi sollecitati dallo sforzo bellico del paese, nonché alla contestuale richiesta di adeguamento salariale. Così come è notevole il contributo critico offerto in questo stesso periodo da Gramsci relativamente al tentativo di operare una trasposizione del conflitto da parte degli interventisti dal piano politico militare a quello spirituale, puntando su un presunto “primato latino”, considerandolo un “incretinimento nazionale” sostenuto soprattutto delle nuove formazioni fasciste e, dopo la Strafexpedition, attraverso l’istituzione della lega d’azione antitedesca.
Questa prima uscita di “Progressus” sulla Grande guerra intende così fornire notizie, illuminare passaggi e suggerire piste interpretative, categorizzando parole chiave essenziali per la comprensione della Grande guerra e del suo impatto sulla Penisola, con un’attenzione multidisciplinare a diverse problematiche socio-economiche e culturali, al fine di offrire un contributo significativo all’attuale dibattito storiografico riattivatosi con particolare vigore, in Italia così come negli altri paesi europei, nella ricorrenza centenaria del primo conflitto mondiale.