La mostra del Meeting di Rimini “Migranti: la sfida dell’incontro”, nel suo tour in Sicilia, ha fatto tappa ad Enna e più precisamente all’università Kore. Nell’occasione si è svolto un qualificato e interessante convegno cui hanno preso parte, invitati dal prof. Claudio Gambino, geografo dell’Ateneo ennese, Wael Faoruq, arabista dell’Università Cattolica di Milano, Domenico Lucano, Sindaco Riace (Rc) e mons. Dario Edoardo Viganò, Prefetto della Segreteria per la Comunicazione della Santa Sede, cui abbiamo posto alcune domande.
Mons. Viganò, perché nella vicenda delle migrazioni prevale la percezione della drammaticità dell’evento piuttosto che la sua realtà?
Il fenomeno migratorio è un fenomeno antico quanto l’uomo. Da sempre uomini e donne migrano alla ricerca di situazioni migliori per la loro esistenza. Pensiamo ad esempio alla migrazione dall’Europa verso le Americhe negli anni successivi ai conflitti mondiali. Oggi il fenomeno migratorio è dovuto a motivi realmente drammatici come le guerre, le persecuzioni e la fame. Molto spesso i media raccontano gli aspetti drammatici della migrazione generando paura e talvolta chiusura negli spettatori, senza spiegare le ragioni di tale migrazione e, soprattutto, enfatizzando gli eventi. Ma vi è poi un secondo elemento.
Quale?
Proprio l’insistenza sull’aspetto drammatico fa perdere l’urgenza e la responsabilità comunicativa circa i dati reali della migrazione. Usare parole come “invasione” significa suggerire una percezione del migrante negativa.
Perché?
Come afferma il Papa, la conoscenza della realtà dipende dagli occhiali che porti, cioè dalla prospettiva sulla realtà in cui ti collochi. In questo caso, se la prospettiva è quella di enfatizzare questo aspetto, tutto è utile per raggiungere lo scopo.
Ma il Vaticano passa storicamente per uno Stato dotato di potenti mezzi di comunicazione, con cui è in grado di raggiungere tutti gli angoli del mondo. Perché non riesce a “cambiare gli occhiali”?
Perché i nostri non sono mezzi potenti, al massimo sono mezzi molto diffusi. Per interrompere questa spirale di percezione così negativa è necessario che i grandi network internazionali, le grandi agenzie di informazione decidano di farlo. Noi non abbiamo le forze per combattere Davide, cioè i giganti della comunicazione; abbiamo però una dote: la capacità di scegliere cinque pietruzze per tirarle con la fionda e tentare di abbattere il gigante.
Quindi?
Si tratta dell’arte del discernimento come questo seminario ha tentato di fare, anche dando voce a soggetti che non sempre riescono a far giungere la propria voce.
Si può dire che fra queste cinque pietruzze c’è un masso che si chiama papa Francesco?
Certamente sì! Papa Francesco è indubbiamente un leader che trasmette empatia sui grandi temi. E questo aiuta molto la comunicazione del suo pensiero e del pensiero del Vangelo della misericordia. Pensiamo ad esempio al suo recente viaggio in Egitto. In quella vasta e popolosa nazione non c’è una grande comunità cattolica; eppure lui è riuscito ad aprire uno spiraglio, ad accendere una luce su un contesto così particolare. E qui entriamo nel tema della sua strategia, non solo comunicativa.
Che vuol dire?
Lui ha in mente, e la attua ormai da tempo, una strategia di costruzione della comunicazione rivolta prevalentemente alle periferie. Basti pensare che finora le capitali europee che ha visitato sono praticamente nulle; molte invece le periferie in cui si è recato, a partire dal suo ormai primo viaggio a Lampedusa. Ecco, questo è il dato da cui partire e da comprendere.
Passiamo adesso ai migranti? Nella sua comunicazione al convegno lei ha posto a tutti due domande: cosa trovano quando giungono tra noi e cosa dovrebbero trovare? Qual è la sua risposta?
Possiamo dire che secondo una visione globale in Europa trovano una speranza delusa. Cioè non trovano quello che si attendevano in termini di benessere e di sicurezza per il loro futuro. Ma soprattutto spesso non trovano accoglienza. Questo giudizio non deve però far cancellare alcune, tante esperienze, molte storie di accoglienza e integrazione che li vedono protagonisti, insieme alla popolazione locale, anche nei posti più disparati. Laddove la creatività dell’operosità umana riesce ad esprimersi è possibile dare concretezza e prospettiva alla loro speranza, la quale viene accolta e accompagnata. Come abbiamo visto oggi, in realtà anche molto piccole si trova la possibilità per trasformare quelle esperienze dolorose da cui partono in occasione di rimarginazione delle loro ferite sulle quali può essere versato un balsamo di consolazione.
E passando all’Europa? Cosa deve ricordare l’Europa?
L’Europa ha dimenticato tante cose della sua storia che invece dovrebbe ricordare, a partire dal fatto che l’Europa porta ancora oggi le ferite del nazismo, che era il segno più tangibile di cosa vuol dire mettere l’uno contro l’altro, della contrapposizione ideologica che genera la violenza.
E in positivo?
Penso al fatto che l’Europa è innanzitutto un insieme di popoli, sia quelli che qui sono arrivati, sia quelli che da qui sono partiti. Quindi l’Europa dovrebbe ricordare proprio questa storia di migrazione ed emigrazione che anche oggi continua, seppur con modalità diverse dal passato. Proviamo a pensare a tutto ciò che gli europei hanno portato nel mondo o hanno accolto dal mondo, in termini di conoscenza scientifica, di cultura, di arte, ecc., e perché no? anche in termini di pace e di progresso civile e democratico.
E quindi in definitiva?
L’Europa deve fare memoria del fatto che questa grande famiglia non è fatta di popoli aggregati l’uno all’altro, o l’uno contro l’altro, ma che sono tutti discendenti di Abramo.
E tornando alla mostra, cosa può insegnare?
La mostra sta dando una mano ad entrare dentro un problema che molto spesso è presentato con toni apocalittici, come detto prima. Invece aiuta per esempio attraverso le statistiche ad una conoscenza sui tempi medi che è importante avere. E poi possibile comprendere di più anche alcuni specifici fenomeni. Cito a tal proposito un cartellone che mi ha colpito nella visita che ho appena fatto. Ad un centro punto si fa riferimento a quanto accaduto nell’ottavo secolo in Grecia. Grazie ai flussi migratori di quel periodo è stata possibile la diffusione dell’alfabeto greco in 22 lettere. Questo avvenimento segna il passaggio dalla cultura orale alla cultura scritta. Anche questo è una conseguenza positiva delle migrazioni.