Jorge Galàn viene considerato, tra i contemporanei, il più importante poeta latino-americano. Ormai da due anni vive lontano, in esilio da El Salvador, suo paese natio, a causa delle minacce subite. In quello che è al momento il suo ultimo libro, intitolato “Noviembre”, narra i fatti del 16 novembre 1989, quando presso l’Università Centroamericana José Simeón Cañas vennero assassinati il rettore dell’università Ignacio Ellacuría, il vicerettore Ignacio Martín-Baró, il direttore dell’Istituto di Diritti Umani della Uca Segundo Montes, il direttore della biblioteca di Teologia Juan Ramón Moreno, il professore di Filosofia Amando López e il fondatore dell’Università Joaquín López y López. Assieme a loro, furono assassinate anche due addette alle pulizie, Elba e Celina Ramos, madre e figlia. Una strage di gesuiti, ordine vicino all’Università José Simeón Cañas, che Jorge Gàlan indicò come compiuta dalle Forze Armate di El Salvador. Il racconto di queste strage di 28 anni fa è costata a sua volta a Gàlan una condanna a morte.



Il libro “Noviembre” sarà presentato in Italia dopo aver ricevuto in Spagna il premio della Real Academia, ma come ammesso dallo stesso Gàlan, la vicenda extraletteraria è diventata preponderante. Lo scrittore ha affermato di voler far uscire le vittime di quel terribile agguato dalla formula di un numero, quello dei sei gesuiti uccisi, e dare di nuovo loro un nome e un cognome e una dignità. Nulla di tutto questo lo ha però salvato dalle minacce, dovute secondo lo scritto alle accuse presenti nel libro da parte di Alfredo Cristiani, presidente della repubblica a El Salvador all’epoca dei fatti, che parlò esplicitamente del coinvolgimento delle Forze Armate nei fatti. Nell’intervista rilasciata a Livero per la presentazione del suo libro sui sei martiri della dittatura salvadoregna, Galàn ha poi sottolineato l’importanza degli scrittori sudamericani nella politica e nella vita sociale del loro tempo, una responsabilità a cui evidentemente lui stesso non è ruscito a sfuggire.

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