Seconda parte dell’articolo uscito il 9 giugno (ndr)

In quest’ottica, gli Stati Uniti dovrebbero ricostruire la loro posizione e i loro valori universali per poter riemergere come una superpotenza positiva che sostenga tutti e ridefinisca la visione globale. Non avrebbe senso uscire dal Wto (l’accordo sul commercio internazionale) e optare per un ammasso di accordi bilaterali ora, dopo aver incoraggiato il libero commercio in tutto il mondo ed esserne stato il principale promotore per due secoli.



Inoltre gli Stati Uniti dovrebbero ridelineare le frontiere politiche del mondo per affrontare la nuova realtà. Per affrontare la crescita della Cina e dell’Asia, hanno bisogno di piccoli e grandi alleati, e l’alleato più naturale — e più grande — è l’Europa. L’America ha convenienza a sostenere la riunificazione dell’Europa, che non potrebbe fungere da contrappeso (l’Europa come unità politica è stata inventata dall’America), ma che è un sostegno necessario per gestire il resto del mondo in mutamento.



La Russia è troppo grande per poter far parte dell’Europa, ma necessita di un ruolo di ponte continentale tra l’Europa e l’America (dopo tutto confina con l’Alaska), e con la Cina, il più importante nuovo attore nel mondo di oggi.

La Cina in particolare forse dovrebbe essere l’oggetto di un grande accordo che assuma su di sé le preoccupazioni crescenti di molte nazioni asiatiche. La Cina deve essere considerata in questo mondo, e l’iniziativa della Nuova Via della Seta, One Belt One Road (Obor) potrebbe essere un modo.

L’America, come potenza asiatica, dovrebbe giocare un ruolo decisivo nell’Obor e aiutare gli altri paesi nella regione, come India, Giappone, Thailandia e Indonesia, ad avere uno spazio nella nuova geografia politica.



Qui non si tratta solo di economia o geografia politica, ma di diverse visioni del mondo, diverse filosofie che devono essere riconciliate. Ciò non rende facili le cose. È una prova che le vecchie “verità” non reggono più, e gli argini cedono, aprendo la via a facili sostituti grazie a teorie complottiste e “false informazioni”.

Visto il ruolo importante della Cina in tutto questo, forse vale la pena approfondire.

Le sfide che deve affrontare il presidente cinese Xi Jinping sono senza precedenti. Il mondo intero guarda alla Cina con timore o ammirazione. Una simile situazione era già capitata a metà del diciannovesimo secolo, quando la Cina affrontò l’attacco delle potenze straniere, ma all’epoca era la potenza più ricca al mondo. La sua posizione è cambiata oggi, e sta forse sottovalutando la gravità della situazione.

L’America, oltre a rivedere la sua visione politica e l’ordine globale, necessita anche di pensare a un grande accordo con la Cina su tre livelli.

Nel breve periodo ci sono questioni come il deficit commerciale americano con la Cina, che sta presentando un conto salato in America in termini di posti di lavoro; questioni come la sicurezza informatica; l’accesso delle aziende americane al mercato cinese; la protezione della proprietà intellettuale, eccetera. Ma ci sono anche rischi provenienti dalla posizione della Cina rispetto alla questione nordcoreana, nelle Senkaku, contese col Giappone o nel Mar Cinese Meridionale, o questioni più delicate come Taiwan o il futuro democratico di Hong Kong.

Nel medio termine, c’è il timore che l’economia cinese possa superare quella americana nel giro di pochi anni. Se ciò accadesse, potrebbe forzare l’America a una competizione strategica fino alla sua esclusione dall’Asia. Molti paesi vicini geograficamente alla Cina, che si sentono attaccati, minacciati o invasi da una Cina sempre più determinata e arrogante, si oppongono a questo scenario. Tutto questo è esasperato dal timore verso una nazione che è governata da un sistema non trasparente e non democratico, e che, al contempo, è anche la nazione più popolosa del mondo. Se la Cina ha un sistema oscuro e autoritario, questo potrebbe influenzare il resto del mondo.

Nel lungo termine c’è forse la fine di una fase durata quasi 500 anni in cui l’Europa, e la sua estensione sul continente americano, hanno dominato il mondo con le loro leggi e i loro modi di pensare. Lo sviluppo cinese, con la sua civiltà così antica e così diversa, sta trainando il resto dell’Asia con sé e sta oggettivamente minacciando di mutare il modo di pensare tipico dell’Occidente.

Questa ridefinizione dei valori e dei confini politici è difficile in America, dove l’opinione pubblica è estremamente divisa. Tuttavia è necessaria e urgente. Qui il trend dovrebbe anche includere nel dibattito alcune delle “false notizie” e chi le produce, che deve essere preso seriamente e non deriso. Inoltre, non si può dimenticare che, storicamente, eliminare i sofismi può certamente portare alla grande opera di Aristotele o Hanfei Zi, ma, al contempo, estirpa con essi anche la vitalità del dibattito che potrebbe invece generare grandi idee necessarie per lo sviluppo del mondo. Il problema non è eliminare le “false notizie”, ma aprire i vecchi media e le idee ai problemi che ne sono all’origine.

In America, mentre il dibattito riguardo gli affari internazionali è difficile, il senso della direzione che bisognerebbe prendere economicamente è più chiaro. Il paese ha bisogno di più progetti infrastrutturali e scuole migliori, certo, ma le sue industrie e l’innovazione stanno ancora guidando il mondo. Nuove tecnologie e sviluppi arrivano tutti dall’America.

In Cina, lo “sfidante”, le cose sono molto diverse. La leadership politica e culturale è più chiara, con il suo chiaro mandato di crescita ed espansione, ma il modello economico traballa.

Dietro la vecchia questione della riforma delle Imprese di stato (Soe), c’è un problema più profondo: può l’economia essere rivoluzionata dai burocrati? Le riforme di Deng, iniziate nel 1979, scaturirono dall’accettazione delle teorie della scuola di Chicago dei tempi di Reagan: permettere la liberalizzazione, allentando il controllo sul mercato. Questo andava contro il principio sovietico fallimentare della pianificazione centralizzata. Le cose si fecero incerte dopo la repressione di Tiananmen nel 1989, quando la leadership perse la fiducia nel libero mercato, ma successivamente, dopo il tentato colpo di stato nell’Urss e il suo fallimento nell’agosto del 1991, l’economia venne nuovamente liberalizzata.

Tuttavia, dalla fine degli anni 90, il libero mercato è stato via via messo all’angolo e deviato dalle Soe. Il paese è ora alle prese con il problema di un eccesso di funzionari corrotti e capitalisti implicati con le Soe e la loro influenza corruttiva sulla struttura dello stato. Dunque il partito è tornato alla situazione del 13° congresso nel 1987: la separazione del governo dalle imprese, che ora significa drastica privatizzazione e smembramento delle Soe. Solo che 30 anni dopo, la Cina è già molto diversa.

La burocrazia non è più insicura e incerta, come era allora; le riforme non sono più abbracciate con entusiasmo e sostegno dall’America. Il presidente Xi si trova in una posizione singolarmente difficile. Mao all’inizio godeva del sostegno estero della Russia; o comunque poi la Cina era economicamente molto più piccola e isolata e al mondo non importava molto di cosa facesse.

Xi non ha aiuto estero e il Pil del paese non è né piccolo né isolato. Quello che la Cina fa oggi, in qualunque campo, ha dovunque un enorme impatto. In più, soffre di una ormai diffusa opposizione interna, perché la campagna anticorruzione di Xi ha radicalmente mutato i gruppi stratificati di interesse che avevano dominato il paese negli ultimi 30 anni. Le cose quindi non sono facili nemmeno per la Cina.

In questo oceano di incertezze, è facile essere tentati dalle scorciatoie. In occidente, le “false notizie” possono sembrare la soluzione, nel momento in cui le vecchie risposte non funzionano più e nuove reali risposte non sono disponibili. In Cina, dove il partito esercita uno stretto controllo, la risposta potrebbe essere semplicemente chiudere la bocca a tutti. Sono due facce della stessa medaglia, e sappiamo che questa è una medaglia brutta e pericolosa.

(2 – fine)