Paola Binetti è probabilmente il massimo esperto italiano di organizzazione sanitaria. Dico “il” massimo esperto per sottolineare che non è solo la donna che ne capisce di più ma la persona che ne capisce di più in questo campo. A lei si deve in buona parte il grande successo educativo e scientifico del Campus Biomedico di Roma e molto di quel poco di buono che si è fatto in questi anni nell’ambito della legislazione sanitaria. 



Io la ho come compagna di banco in Parlamento ed ho il privilegio di poter approfittare della sua saggezza. Ho anche il destino di subire le sue sfuriate quando si arrabbia (e succede frequentemente) per le incongruenze della vita parlamentare o per i tanti tentennamenti e le tante viltà che contraddistinguono in questa fase la presenza dei cattolici nella vita politica del paese.



Nel suo ultimo lavoro, Maternità surrogata. Un figlio a tutti i costi (Magi Edizioni, Roma 2016) Paola Binetti ci parla dell’utero in affitto.

Succede qualcosa di strano nella cultura del nostro tempo. Per decenni i maestri del pensiero ci hanno spiegato che la maternità è un impiccio di cui le donne si devono liberare per potere liberare le loro potenzialità e la loro genialità. Adesso invece si riscopre il desiderio di maternità e/o di paternità, in un modo così prepotente che lo si eleva al livello di diritto. Che fare in quei casi in cui la maternità o la paternità per via naturale non arrivano? Si prende un ovulo fecondato e lo si inserisce nell’utero di una donna che (a pagamento o gratuitamente ma con un sostanzioso rimborso) porta a termine la gravidanza e consegna il bambino ai due aspiranti genitori. 



Tutto bene così? Certo, non c’è cosa più bella della nascita di un bambino e della felicità dei suoi genitori, però…

Il bambino vive per nove mesi nell’utero della donna, sotto il suo cuore, cullato dai suoi battiti. Sono due ma si sentono come una cosa sola, nella comunione di vita più intensa che si possa immaginare. In circostanze normali (ma è ancora lecito parlare di normalità? Non si rischierà una denuncia per discriminazione o per linguaggio non politicamente corretto?) questa comunione di vita prosegue con l’allattamento. Il bambino acquisisce progressivamente coscienza della sua identità autonoma ma il legame rimane e costituisce un fondo di fiducia in se stessi e nella vita, di tenerezza e di forza che ci accompagna per tutto il corso dell’esistenza. È duro riconoscerlo per noi maschi, ma nel primo tempo della vita del bambino il padre è solo una luna che gira intorno al sole del volto della madre. Non è in fondo nostra moglie che ci presenta a nostro figlio ed introduce lui nella nostra vita come noi nella sua? Verrà il tempo in cui il bambino ci riconoscerà e prenderà forza la grande avventura della paternità. Sarà però un attimo dopo ed avverrà sulla base di una maternità che ci precede. 

Con l’utero in affitto questo processo viene bruscamente interrotto. I due committenti ricevono il bambino ma da qualche parte rimane una madre senza il suo bambino ed un bambino senza la sua mamma. È lecito infliggere questo trauma ad un bambino? Sappiamo poco sulle conseguenze che questo può avere. Possiamo fare un paragone con l’adozione, dove sappiamo bene quanta pazienza e spirito di sacrificio ci voglia per rimediare al trauma della separazione precoce del bambino dalla madre. Sappiamo anche che non sempre l’adozione riesce e comunque le cicatrici dell’abbandono originario rimangono.

Nel caso dell’adozione, però, il bambino ha perso i suoi genitori, è diventato orfano per i casi della vita. Nel caso dell’utero in affitto si pianifica la nascita del bambino per farlo diventare orfano.

Molti dicono che non conta la paternità e la maternità biologica, conta l’amore. C’è del vero ma non è tutta la verità. L’uomo è un essere fatto di spirito e di corpo strettamente congiunti. La gravidanza, il parto, l’allattamento non sono solo fenomeni biologici. Sono fenomeni emozionali, psicologici e morali. Attraverso di essi si plasma l’identità del bambino e della madre. Attraverso di essi si crea un legame fondamentale. È lecito spezzarlo? Cosa ci direbbe il bambino se potesse parlare, se potesse scegliere? 

E cosa direbbe la donna? Una donna che consapevolmente offre se stessa a questa mutilazione può essere spinta da motivazioni economiche o psicologiche ma, in ambedue i casi, diremo che è veramente libera nel farlo? O forse non le è stata fatta violenza dopo avere estorto il suo consenso? 

Un problema a parte è se due padri possano sostituire un padre ed una madre o anche soltanto una madre sola. Si può entrare nel mistero della paternità senza una donna che ci introduca? E un maschio, che questa esperienza della gravidanza e del parto non la ha avuta e non la potrà avere mai, può sostituire una madre?

Forse ci sono cose che non si possono vendere e non si possono comprare. Cose che non si possono scambiare e nemmeno regalare, come la libertà, la verità, l’onore. O come il proprio corpo. Dopo avere letto questo libro è difficile sottrarsi a quanto meno al dubbio che anche la maternità sia una di queste cose.