Grazie, no. E’ già abbastanza malconcia di suo: “Com’è triste Venezia…”, cantava qualche era geologica fa Charles Aznavour; non rendiamola funerea, ché già ci pensano ad abundantiam i veneziani di oggi. “Una macchina del tempo per svelarci vite e intrighi della Venezia sconosciuta”, è la sintesi di un progetto del Politecnico di Losanna e della locale università di Cà Foscari, che si propone di consegnarci una ricostruzione digitale della straordinaria, policroma, affascinante vita millenaria della Serenissima. Lo fa sulla base di un’indiscutibile impostazione scientifica: tecnologicamente ineccepibile, ma le manca l’anima. Soprattutto perché ci promette di offrirci uno spaccato dal basso della vita dei bei tempi che furono. Ma il problema è un altro: che sussulti avrà chi un giorno la leggerà, paragonandola con il mediocre e spesso meschino presente? Sarà una risata che vi seppellirà, era uno degli slogan portanti del Maggio francese del ’68. Sarà un algoritmo che vi seppellirà, si rischia di doverlo aggiornare. E già Venezia sta sprofondando di suo, vogliamo proprio darle il colpo di grazia?



Perché quello sì che era uno Stato. Cattolicissimo nelle pratiche religiose e nella fede; ma laico al punto da replicare seccamente a papa Giulio II, che lo minacciava di ridurlo all’isoletta derelitta delle origini, che sarebbe stata la Serenissima a ridurre lui a un curatello di campagna qualsiasi. Implacabile nel rapporto col potere al punto da tagliare la testa a un doge, anziché promuoverlo. Esemplare nella gestione del territorio, tanto da combattere già allora il fenomeno delle acque alte, mandando a fondo una sola cosa: la pratica delle tangenti. Plurale al punto da integrare diverse comunità etniche fino a farle sentire veneziane a pieno titolo: il primo ghetto della storia è nato qui, ma era l’esatto opposto dei turpi ghetti nazisti e degli ipocriti ghetti di oggi. Globale nei commerci, facendo della Cina di allora una partner anziché una rivale, e continuando a fare affari con il Turco anche in piena guerra. Fucina di cultura, l’esatto opposto di quei minus habens che oggi sostengono che con la cultura non si mangia: dal Tiziano al Palladio, quella Venezia ci ha campato e come.



Ecco: adesso imbarcate su quella virtuale macchina del tempo in programmazione i veneziani di oggi, e portateli a spasso nei secoli che furono. Sarà inevitabile, per loro, stabilire un confronto tra la Venezia che fu e quella depredata dai ladroni della politica e dell’economia che hanno usato il Mose per salvare la città dalle acque bianche, ma anche per farla sommergere da quelle nere di fogna. Ma pure tra la Venezia splendida metropoli di ieri, e quella sconcia Disneyland di periferia in cui si è ridotta oggi. Ne vale davvero la pena? Di nuovo: grazie, no. “Questi venessiani xè talmente mona, che non ‘i sa gnanca de esserlo”, si lamentava un sindaco dei primi del Novecento. Meglio lasciare che continuino a restarne all’oscuro.

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