Un piccolo commento in margine alla prima fase degli Esami di Maturità. Che qui scrivo con la maiuscola, perché rispetto a questo fenomeno mi sento patriottico — sì, patriottico; e non ho mai veramente apprezzato i sogghigni su quel gran libro che è Cuore di Edmondo De Amicis. Questi esami infatti sono una delle poche occasioni rimaste per sviluppare una conversazione nazionale (altro aggettivo fuori moda) fra cittadini e neo-cittadini. E poi: come si fa a parlarne senza interrogare dentro di noi un certo senso di amorosa nostalgia? Perché si può essere nostalgici anche della paura (soprattutto in confronto alle paure ben più pesanti che tutti noi, giovani e non, proviamo in questi anni). Comunque, dopo la paura noi da esaminati provammo anche il sollievo: non tanto il sollievo del confronto fra i promossi e i non promossi (che evoca sempre lo spettro dell’invidia), ma il sollievo primordiale delle prime ore di libertà dopo la tensione, le ore gioiose in cui si aprivano le porte non soltanto di quella mattina là ma di tutte le mattine future.
A parte ciò, che cosa ha imparato, un cittadino qualunque, da questa prima tornata di esami? Prima di tutto, ha constatato la maggiore articolazione del discorso intellettuale nella scuola, rispetto ai suoi tempi, soprattutto nell’apparato di informazioni che inquadrava le domande; e poi, gli è capitato di riscoprire con freschezza di percezione certi passi che per un anziano professore di quelle che una volta si chiamavano “belle lettere” rischiavano di sembrare triti.
A proposito di questo secondo punto: tutti noi ripetiamo con rispetto l’idea che lo stupore è l’inizio di ogni autentico pensiero; ma una cosa è dirlo, e un’altra sperimentarlo veramente. Per esempio, raramente avevo sentito con tanta forza la vera differenza — la differenza tra due percezioni della realtà, due mondi spirituali — che separa due grandi autori quasi contemporanei come Foscolo e Leopardi; e ho sentito come certe etichette che negli anni mi erano sembrate antipaticamente pedanti (“romantico” e “classico”) continuassero tuttavia ad avere un certo senso. Ma al di là di queste etichette, e al di là della differenza fra il genere della narrativa (citazione di Foscolo) e quello della saggistica (citazione leopardiana), quello che è in gioco sono due modi profondamente diversi di scrivere prosa moderna. “Ho vagato per queste montagne” eccetera: la prosa di Foscolo è “romantica” nel senso che è contemporanea, entra immediatamente nell’adesso-e-qui della mia percezione di lettore. La prosa di Leopardi (“Ora sappi”, dice la Natura, “che nelle fatture, negli ordini e nelle operazioni mie, trattone pochissime” ecc.) è “classica” nel senso del suo eroico tentativo di dimostrare — e, lui, ci riesce — come sia possibile scrivere un’analisi dell’oggi colata dentro gli stampi della prosa trecentesca.
Tutto ciò, io l’avevo sempre sentito, ma forse mai così chiaramente come la scorsa mattina, grazie alla vicinanza e alla focalizzazione di questi due passi nelle tracce degli esami. Se non temessi di essere frainteso (e di essere bocciato all’esame) direi che la modernità foscoliana è la modernità delle emozioni, mentre la modernità leopardiana ha qualcosa di quasi spietatamente sperimentale. E chiedo: ci rendiamo conto della nostra buona sorte di lettori italiani quando, adesso che disponiamo di una monumentale e impeccabile e utilissima traduzione inglese integrale dello Zibaldone, possiamo verificare come ciò che si è appena notato venga inevitabilmente a perdersi nella traduzione? Ecco, io confesso di invidiare un poco i giovani e le giovani che l’altro giorno sedevano all’esame, e che hanno una vita davanti per sviluppare, se così desiderano e se ne vengono incoraggiati dai loro maestri, questi e simili pensieri. Se ne vengono incoraggiati dai loro maestri, ripeto; e il dubbio sorge dall’istruzione finale che segue i brani poetici proposti all’esame: “Puoi arricchire l’interpretazione della poesia con tue considerazioni personali”. Come, “puoi”? Cioè: a quell’età e nel giro di poche ore, come si può non intrecciare la propria “interpretazione” a “considerazioni personali” (ammesso e non concesso che questa distinzione sia valida in linea generale)?