Joseph Ratzinger può agevolmente essere considerato tra le personalità più emblematiche del dibattito culturale degli ultimi decenni. Teologo, in primo luogo, ma anche cultore del dialogo interreligioso ed ecumenico, del diritto canonico, della filosofia della storia e della filosofia della scienza. Si tratta di un itinerario teorico che lo rende di particolare interesse anche ove non si volesse ricordare che, col nome pontificio di Benedetto XVI, Joseph Ratzinger ha avuto il disagevole compito di gestire una delle fasi di transizione più dure e problematiche nella storia recente della Chiesa. Assediata dai media, all’epoca, la Curia romana, sulla quale pendevano accuse di ogni tipo, talvolta sfarinatesi anche nella fase propriamente giudiziaria e spesso da dirigere meglio verso i responsabili specifici, non con indistinte, acritiche e infamanti condanne. Negli ambienti teologici e ormai anche giuridici lo si dice da tempo: serve una nuova riflessione, aggiornata e consapevole, sui rapporti tra la Chiesa e i mezzi di comunicazione. Anche su questo tema, l’ultima pubblicazione italiana di Benedetto XVI (Il tempo e la storia, Piemme 2017) contiene spunti particolarmente interessanti, proprio perché correlati a un’indagine filosofica di respiro più ampio e di grande, ferrea, coerenza interna. 



Il volume in questione ci aiuta comprendere il significato del magistero ecclesiastico, che ha un nucleo veritativo immutabile, ma che affronta la temperie del mondo in modi in costante evoluzione. Ce lo ricorda l’attuale recepimento del pontificato di Papa Francesco, avverso il quale remano due correnti di pensiero, ancora marginali, solo apparentemente opposte. Da un lato, marciano pochi apocalittici, che condannano il lassismo e la mollezza del magistero, imputandole di tradire il senso ultimo della fede (la “missio canonica” che consiste nella “salus animarum” dei fedeli). Dall’altro, si affollano imbarazzanti sostenitori dell’ultima ora che, facendosi scudo del grande consenso mediatico del Pontefice, cercano di tirarsi il magistero per la giacchetta, provando ad attribuirgli tesi scentrate, pasticciate e scombinate che, ovviamente, Papa Francesco non ha mai messo a verbale. A dispetto di quanti vedano, perciò, grandi e inevitabili cesure tra Francesco e Benedetto XVI, il Pontificato tratta temi comuni, traccia comunanze più che asimmetrie, spinge tutti (indistintamente tutti) a riflettere sul ruolo sociale delle Chiese e sulla necessità, e con quali contenuti, dell’apporto individuale. 



Benedetto XVI, con scritti di ispirazione teologica ma di fresca accessibilità e sincerità, dimostra, per altro verso, una visione ottimistica che molti sin qui gli avevano negato. Per il cristiano, il tempo come unità di misura dell’agire terreno non è che l’inizio alla nostra percezione di un disegno di salvezza. Anche le sciagure di ieri e di oggi possono e devono essere inserite in una visione della storia umana che non si soddisfa soltanto coi poteri mondani, ma che richiama fini e valori irrinunciabili. La provvidenza, ricorda Benedetto XVI in piena consonanza con la tradizione teologica di Joseph Ratzinger, non si dà per salto superficiale o rifiuto della ragione, propria o altrui; si attua, invece, nei destini del mondo con la forza e la verità che può cambiare il destino dell’umanità. Le encicliche di Benedetto XVI sono state successi editoriali di massa, oltre che importanti documenti densi di riflessione, e non è casuale che abbiano insistito, senza concessione alcuna, sui temi della speranza e della carità: l’una e l’altra non possono darsi in modo disgiunto, anzi sono costantemente protese a richiamarsi, a sorreggersi. Un agire senza carità è un avvenire senza speranza: entrambe queste ipotesi sono per il cristiano irrealizzabili perché è nell’atto battesimale, ricorda ancora il Pontefice emerito, che si compie una promessa radicalmente antitetica alla mancanza di eticità e fede che è tipica dell’ingiustizia. 



Il tempo e la storia è lavoro che merita d’essere letto e riletto, non solo per associarsi alle tante celebrazioni che hanno reso omaggio ai novant’anni di Benedetto XVI. Si tratta, al contrario, di un libro prezioso che affronta con tenace schiettezza il limite degli idoli di cui si è costellata la modernità, tradendo il mandato di libertà, equità e giustizia che si intestava di avere ricevuto dalla storia umana. Non c’è finta rappresentazione di valori che non produca dei danni: li provoca il diritto, quando si riduce tutto a finzione e funzione; li provoca la morale invalsa, quando accetta e conferma pratiche abominevoli; li provoca la politica, quando trasforma l’idea del governo nella battaglia intestina per il potere fine a se stesso. 

Qualcuno aveva ritenuto Ratzinger un Pontefice di pensiero oscuro, un teologo dalla comunicazione ostile, l’ultimo antimoderno alla morte della modernità. Queste pagine mostrano, all’opposto, un uomo di fede che sa colloquiare con le democrazie liberali, desideroso di apprendere, e generosamente pronto a mostrarne i limiti, le ferite, i demeriti.