Di fronte al gravissimo problema dei flussi migratori da Africa e Asia verso l’Europa viene spesso citata l’accoglienza come il toccasana risolutivo. Il concetto di accoglienza viene anche, e non poche volte, brandito come un’arma dai chiari connotati moralistici o ideologici, un discriminante tra “buoni” e “cattivi”, tra “democratici” e “razzisti” e via dicendo. In questo modo si fa del male sia ai migranti che a quelli che sono nella condizione di doverli accogliere. Vale la pena di rileggere ciò che scriveva Benedetto XVI al paragrafo 62 della sua Enciclica del 2009, la Caritas in veritate.



“Un altro aspetto meritevole di attenzione, trattando dello sviluppo umano integrale, è il fenomeno delle migrazioni. È fenomeno che impressiona per la quantità di persone coinvolte, per le problematiche sociali, economiche, politiche, culturali e religiose che solleva, per le sfide drammatiche che pone alle comunità nazionali e a quella internazionale. Possiamo dire che siamo di fronte a un fenomeno sociale di natura epocale, che richiede una forte e lungimirante politica di cooperazione internazionale per essere adeguatamente affrontato. Tale politica va sviluppata a partire da una stretta collaborazione tra i Paesi da cui partono i migranti e i Paesi in cui arrivano; va accompagnata da adeguate normative internazionali in grado di armonizzare i diversi assetti legislativi, nella prospettiva di salvaguardare le esigenze e i diritti delle persone e delle famiglie emigrate e, al tempo stesso, quelli delle società di approdo degli stessi emigrati. Nessun Paese da solo può ritenersi in grado di far fronte ai problemi migratori del nostro tempo. Tutti siamo testimoni del carico di sofferenza, di disagio e di aspirazioni che accompagna i flussi migratori. Il fenomeno, com’è noto, è di gestione complessa; resta tuttavia accertato che i lavoratori stranieri, nonostante le difficoltà connesse con la loro integrazione, recano un contributo significativo allo sviluppo economico del Paese ospite con il loro lavoro, oltre che a quello del Paese d’origine grazie alle rimesse finanziarie. Ovviamente, tali lavoratori non possono essere considerati come una merce o una mera forza lavoro. Non devono, quindi, essere trattati come qualsiasi altro fattore di produzione. Ogni migrante è una persona umana che, in quanto tale, possiede diritti fondamentali inalienabili che vanno rispettati da tutti e in ogni situazione”.



Anche Papa Francesco, nell’intervista concessa nel novembre scorso durante il viaggio di ritorno dalla Svezia, ha evidenziato i problemi connessi all’accoglienza, sottolineando che l’accoglienza non è soltanto “ricevere, ma integrare, cercare subito casa, scuola, lavoro…”. Il Papa ha poi affermato la necessità di distinguere tra rifugiati, che fuggono da una situazione terribile di guerra, angoscia e fame, e migranti alla ricerca di un futuro migliore. Costoro, dice il Papa, devono essere trattati “con certe regole perché migrare è un diritto ma è un diritto molto regolato” e, quindi, se il peggior consigliere per i governanti di un Paese è la paura, la loro migliore virtù è la prudenza, per evitare di ricevere più di quelli che si possono integrare, creando così dei ghetti: “E una cultura che non si sviluppa in rapporto con l’altra cultura, questo è pericoloso”.



In questa intervista, Papa Francesco ha lodato la Svezia per la sua lunga tradizione di accoglienza, anche se proprio nel periodo della sua visita aveva cominciato a ridurre il livello di accettazione dei migranti. A tal proposito il Papa ha citato l’incidenza di stranieri sulla popolazione svedese, circa il 10 per cento; val al pena di ricordare che, secondo i dati Istat, nel 2016 gli stranieri in Italia erano cinque milioni (raddoppiati nel giro di 10 anni), pari all’8 per cento. Ai quali vanno aggiunti i clandestini, che è pensabile siano molti di più di quelli entrati in Svezia.

Se Papa Francesco sottolinea che l’accoglienza non si esaurisce con il far entrare gli stranieri nel Paese, Benedetto XVI evidenzia come essa sia il punto terminale di un lungo e complesso percorso, pieno di difficoltà e sofferenza. Un percorso che deve essere gestito non solo nel suo punto terminale, ma lungo tutto il suo svolgersi, dai Paesi in cui inizia a quelli di transito. Purtroppo, non sembra che sia stato fatto molto in questa direzione negli otto anni che ci separano dalla Caritas in veritate.